L’eutanasia è la battaglia ideologica dei sani e l’escamotage per non fare i conti con la nostra condizione umana

Nascere, vivere si può finché il nostro corpo funziona. I difettosi, è meglio eliminarli prima che vedano la luce, e gli inguaribili, pietosamente sopprimerli. Perché, se non c’è un Dio, né un senso, stare di fronte alla morte è intollerabile

Settanta “famosi” hanno partecipato a un video in cui chiedono la legalizzazione dell’eutanasia e il riconoscimento del testamento biologico. L’iniziativa, promossa dall’associazione radicale Luca Coscioni, ripete i soliti refrain della propaganda mortifera: l’eutanasia c’è già, gli italiani sono d’accordo, sono io il padrone della mia vita, eccetera eccetera. Concetti non nuovi, la cui falsità Tempi ha documentato in questi anni (e vi basterà una ricerca nell’archivio del nostro sito per farvene un’idea). Tra tutti questi articoli ve ne proponiamo due – entrambi pubblicati su Tempi il 5 ottobre 2006 – che riteniamo particolarmente significativi. Eliminare chi soffre (persino se stessi) non è il modo migliore per eliminare la sofferenza, ma l’escamotage per evitarci il confronto con la nostra condizione umana.

L’orso Yoghi s’infila in una bara
di Marina Corradi

Era l’inizio degli anni Novanta. Si cominciava nel Nord Europa a parlare di eutanasia legalizzata. Andai in Olanda, e non ho più dimenticato un manifesto. C’era sopra un orso Yoghi sdraiato dentro una bara e sorridente, nell’atto di calarsi addosso il coperchio. A me che venivo dall’Italia quella vignetta sembrò non solo macabra, ma sbalorditiva nel suo tentare di edulcorare la morte parlando un linguaggio da bambini; nel raccontare che la morte, una volta che ci si metta d’accordo, che si scelga quando e come lasciarsene prendere, è qualcosa di lieve, di “dolce”, così che ben ne può parlare l’orso del parco di Yellowstone, ammiccando.

La fondatrice del maggiore movimento olandese per l’eutanasia era una signora anziana, elegante, garbata. Finita l’intervista, mi domandò se ero cattolica. «Anche io – aggiunse – lo ero, da ragazza». Sembrava parlare di quel tempo con la nostalgia di chi ricorda una bella illusione perduta. Poi, disse, era venuta la guerra. «Quando, dopo il ’45, ho visto le foto di Auschwitz e Dachau, il Dio della mia infanzia è andato in pezzi. Non era possibile. Il Dio in cui credevo non avrebbe permesso quell’inferno in terra. Il mio Dio, non era dunque mai esistito».

Non si parlava ancora come oggi di nichilismo. Capii più avanti che il Nord Europa era già dentro una convinzione di fondo: la vita è tollerabile solo finché è sana e lieta, e, dopo, nulla che valga un giorno di pena. Ma il dolore, oggi quasi sempre affrontabile con le cure palliative, non è la prima ragione di questa ansia di andarsene “dignitosamente”. Nei reparti in cui si muore di cancro i malati si attaccano all’ultimo istante di vita. Chi sta morendo – mi disse il medico di un “hospice” per terminali – domanda una faccia accanto, non un’iniezione.

Al fondo, l’eutanasia è la battaglia ideologica dei sani. La grande pressione è fuori, nei parlamenti, a Strasburgo. Contagiati e convinti da un pensiero che dagli intellettuali si è allargato al popolo: nascere, vivere si può finché il nostro corpo funziona. I difettosi, è meglio eliminarli prima che vedano la luce, e gli inguaribili, pietosamente sopprimerli. Perché, se non c’è un Dio, né un senso, stare di fronte alla morte è intollerabile.

Come quell’orso Yoghi che s’avviava ammiccando verso il suo nulla. Quindici anni dopo, l’Olanda, prima in Europa a mostrare i sintomi del nichilismo e relativismo di massa, è il paese più minacciato dall’integralismo islamico. Dove si ammazza un regista per un film “blasfemo” contro il Corano. È solo un caso? Come se, in quel vuoto di non senso e di nulla, più facilmente si fosse aperto un varco – come in un ventre molle – la protervia di nuovi padroni, conquistatori di un mondo in declino. Scrive Benedetto XVI in Senza radici: «Il confronto (dell’Occidente contemporaneo, ndr) con l’Impero romano si impone: esso funzionava ancora come cornice storica, ma in pratica viveva già quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale». Avanguardia Olanda, dalla eutanasia legale alla perdita di sé – laboratorio di un mondo prossimo venturo.

Irreversibile
di Giulio Meotti

(…) Chi si batte da anni contro la sacralizzazione del principio di autonomia individuale è Wesley Smith, intellettuale libertario americano, allievo del crociato verde Ralph Nader, autore di decine di saggi sulla “morte pacifica” e fra i testimoni in Florida del diritto alla vita di Terri Schiavo. Fu uno dei pensatori laici che si scagliarono contro l’idea di «non persona», come veniva chiamata la ragazza disabile della Florida. È stato ricevuto alla Casa Bianca da Bush nell’ambito delle iniziative sulla bioetica e ha più volte testimoniato davanti alle commissioni del Senato. «Questi casi dimostrano che l’obiettivo finale è una licenza della morte», spiega a Tempi Smith, che vive a Los Angeles e lavora come avvocato nell’International Task Force on Euthanasia. «Il nirvana umanistico della morte»: così questo agguerrito difensore dei diritti civili chiama l’eutanasia.

Ricordando il Dr. Frankenstein
«Ha ragione il deputato italiano Pierluigi Castagnetti quando dice che “è la ragione che ci impedisce di consegnare allo Stato il potere di decidere se, quando e come far cessare la vita”. Ci sono due assiomi ideologici nell’eutanasia: l’individualismo radicale che concepisce il diritto all’autonomia personale come qualcosa di virtualmente assoluto e l’idea che l’uccisione sia una risposta alla sofferenza umana. Ma una volta che abbiamo accettato l’omicidio dei malati terminali, come hanno fatto gli olandesi, accetteremo la morte dei depressi cronici, dei disabili e perfino l’eugenetica dei bambini. Il New York Times Magazine ha pubblicato un articolo che chiedeva la normalizzazione dell’infanticidio. Una volta che l’omicidio diventa medicalmente accettato, da “cattivo” passa a “buono”».
Smith non è sorpreso dalle notizie provenienti dalla Svizzera. Chi saranno i prossimi? La fantasia ha libero sfogo. «L’idea di porre fine all’esistenza dei malati di depressione è completamente coerente con l’ideologia eutanasica. E gli italiani dovrebbero tenerne conto prima di aprire le porte al suicidio assistito. Nel primo assunto di cui dicevamo, c’è l’idea che siamo il nostro corpo e che possiamo farne ciò che vogliamo. Incluso decidere il momento e il metodo più adatto per morire. Se queste sono le basi culturali, perché non uccidere anche i disabili e i mentalmente instabili? In altre parole, una volta legalizzata e accettata l’eutanasia a livello popolare non c’è modo che questa agenda di morte rimanga limitata ai morenti. E si dimentica che chi non sta morendo può soffrire in modo più atroce di chi ha i giorni contati. È il potere irresistibile della logica secondo cui i disabili mentali devono avere facile accesso al suicidio».
Il filosofo Ronald Dworkin sostiene che l’uccisione razionale dei più deboli può essere un metodo per migliorare il valore specifico della vita umana. «I medici olandesi hanno eliminato i malati che lo chiedevano, i disabili che lo chiedevano e, da ultimi, i nuovi nati che non lo hanno mai chiesto – prosegue Smith -. Se si apre a questa cultura non c’è più modo di fermarsi. Quando iniziarono a uccidere i pazienti depressi ma non fisicamente malati dissero che solo i coscienti con un desiderio “razionale” di morire ne avrebbero “beneficiato”. Poi, quando iniziarono a uccidere i disabili, come i malati di Alzheimer, cantarono sommessamente: solo i pazienti che lo avrebbero chiesto. Poi sono passati ai bambini. Anche senza il consenso dei genitori. È l’implacabile forza di gravità degli abissi».
Quanto alla pillola del suicidio, Smith taglia corto: «Esistono da tanto tempo, pensiamo alla capsula di cianuro di Hermann Göring. Gli avvocati dell’eutanasia sarebbero i competenti amministratori della morte. Ricordano il Dr. Frankenstein, che in nome dell’umanità creò un mostro terribile».

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