Enrico Letta è diventato la sardina di se stesso

Il capo del Pd si presenta alle suppletive di Siena senza simbolo del partito di cui è segretario. Anche nella città rossa, per via dei pasticci Mps, qualcosa si è rotto

Se c’era un aspetto ancora apprezzabile del Partito democratico era la prima parte del nome: “partito”. È una parola piena di significato e, di questi tempi, controcorrente. Indica una “parte”, una comunità coesa intorno a idee (ad esagerare: ideali), interessi e scopi che si ritengono prioritari per la costruzione di una convivenza civile.

Il Pd è rimasto l’ultimo grande attore sulla scena politica italiana a non arrendersi a una tendenza che, dopo Mani Pulite, ha toccato tutti. La parola “partito” è stata prima nascosta e poi rinnegata. Abbiamo così avuto nomi che ricordavano urla da stadio, fiori, alberi, movimenti, alleanze, fratellanze, ma “partiti” no, mai più.

Un po’ di orgoglio vintage

Abbiamo sentito parlare di “formule liquide” e “partiti leggeri”, fino alla retorica sui “portavoce”, i “cittadini” eletti dalla rete e non dalle segreterie. Una grande messa cantata da tutti i media ci ha convinto che non c’è impegno politico se non all’insegna dello spontaneo interesse per il bene universale e non personale e che negli anni Duemila per far politica bisogna contrapporsi alla muffa dei professionisti, della casta, degli imbroglioni (ovviamente son tutte balle, infatti mentre ci incantavano con questa storiella, ci toglievano le preferenze).

Non che il Pd fosse all’altezza del compito di riscattare il buon nome della «forma più alta di carità» (Paolo VI), sia chiaro. Pure loro (ricordate Veltroni?) sulla retorica dell’afflato incondizionato al Bene (con la maiuscola) ci hanno marciato a lungo e imbrogliato parecchio. Ma, almeno, ecco, almeno nominalmente, conservavano nella dicitura “partito” quel lumicino d’orgoglio vintage per una storia da Prima Repubblica che non è mai stata tutta da buttare.

Con Enrico Letta

Poi è arrivato Enrico Letta, che ha promesso di restituire a una comunità slabbrata la sua “anima” e il suo “cacciavite”. Solo che, alla prova dei fatti, ora che si è candidato alle suppletive del 3-4 ottobre a Siena, il cacciavite l’ha usato per svitare non uno, ma tutti e due i termini del nome.

Dunque via “partito” e, in un eccesso di foga, pure “democratico”. C’è rimasto solo un “Con Enrico Letta”.

Così siamo al paradosso che il segretario del Pd si vergogna di mostrare il simbolo del Pd. Ma se è in imbarazzo lui, cosa devono pensare gli altri? Cosa devono dire tutti quelli che da anni si sentono ripetere i refrain sul “partito di plastica” e “l’uomo solo al comando”?

Anche Letta, il figlioccio di Beniamino Andreatta, il professore di Science Po – grande scuola di formazione per classe dirigente – ha ceduto alle leggi del marketing, ai consigli degli spin doctor e alle dritte dei social media manager (o forse solo all’idea di uno stagista pratico di ClipArt, visto il risultato estetico del logo).

Depotenzia e assorbi

Fino ad oggi, quelli del Pd si erano dimostrati più furbi. Ciclicamente, all’interno del loro perimetro d’azione spuntava fuori qualche contestatore pronto ad accusarli di aver perso la “purezza originaria”, quella “superiorità morale” che li distingue dai bruti di destra, quel quid che li fa marciare sempre dalla parte giusta della storia.

Che fosse Nanni Moretti coi suoi girotondi («D’Alema, di’ qualcosa di sinistra»), il popolo viola o le Sardine («Il Pd è un marchio tossico»), il dirigente del partito abbozzava, si mostrava contrito, ammetteva l’errore, valorizzava il contestatore, lo invitava al convegno-congresso-sagra di paese, seguiva dibattito e controdibattito fino alla conclusione scontata: una candidatura nel Pd.

La strategia del “depotenzia e assorbi”, da Debora Serracchiani a Mattia Santori, ha sempre funzionato da quelle parti, almeno fino ad oggi. Ma domani? Ora, ora che persino nella rossa Siena, la città dove bastava essere del Pd per vincere, qualcosa si è rotto, soprattutto per via dei pasticci Mps, Letta nasconde il nome del “partito” e lascia emergere solo il suo.

Povero Enrico, è diventato la sardina di se stesso, segretario di un marchio tossico.

Foto Ansa

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