E va bene, parte il Tfa. E poi?

La presidente di Diesse Lombardia Mariella Ferrante elenca tutte le perplessità che il tanto agognato Tfa continua a suscitare.

(da Tuttoscuola.com) – Dal 6 al 31 luglio circa 180.000 laureati si sottoporranno al primo test di ingresso per l’accesso al corso del TFA ordinario con cui conseguire l’abilitazione. Un numero spropositato di aspiranti se si pensa che i posti disponibili per le immatricolazioni al Tirocinio Formativo attivo sono 4275, per la scuola secondaria di I grado – secondo il DM n. 31/2012 –  e 15792 per la scuola secondaria di II grado. L’incerta sorte che ha caratterizzato l’avvio dei corsi di abilitazione all’insegnamento (TFA) è legata a doppio filo con altre annose questioni che bloccano il rilancio qualitativo dell’insegnamento in ogni ordine e grado di scuola: il reclutamento in base alle competenze e ai meriti; lo svolgimento di concorsi a cadenza regolare in base ad una valutazione realistica del fabbisogno e delle risorse disponibili; il rilancio dell’autonomia e della responsabilità dei singoli istituti scolastici in merito alla valutazione del proprio personale ed alla sua assunzione.

Partiamo comunque dal TFA e in particolare dall’ipotesi di realizzare un TFA “straordinario” per coloro che hanno totalizzato tre anni di insegnamento (così si legge nelle Note a margine pubblicate sul sito del MIUR l’8 maggio): in tal caso l’abilitazione sarebbe conseguita solo con dei corsi universitari senza tirocinio, ovvero senza verifica della capacità effettiva di insegnamento: l’utilizzo di questa corsia privilegiata risulta essere sicuramente ben accetta da tutti coloro che hanno svolto supplenze nelle scuole in quest’ultimi anni (più di 100.000 secondo i sindacati), ma contraddice quanto si era riusciti ad ottenere nel Regolamento della formazione iniziale, ovvero che l’abilitazione all’insegnamento fosse non solo il frutto di ulteriori corsi e verifiche universitarie ma anche di verifiche sul campo – la classe, la scuola – sotto la guida di insegnanti esperti. Se il percorso di TFA straordinario andrà in porto saranno anche contenti i docenti delle scuole paritarie e delle scuole professionali regionali la cui abilitazione è necessaria per il riconoscimento delle scuole stesse in cui essi lavorano e dei titoli che vengono rilasciati (almeno così è previsto dalla legge 19/2007 “Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia”).

Che cosa ne sarà di queste diverse migliaia di docenti abilitati?
Certamente la questione urgente da affrontare è quella del reclutamento sul quale avrebbe dovuto uscire un Regolamento, cosa mai avvenuta perché questo problema non è di facile soluzione e implicherebbe il coraggio di soluzioni innovative – come quella proposta per l’assunzione dei supplenti dall’art. 8 del PDL “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione” della Regione Lombardia – e la capacità di non sottostare ai diktat dei diversi interessi corporativi in gioco. Il Ministro ha promesso concorsi a partire da ottobre. Sempre nelle Note a margine già citate veniva scritto che si voleva “bandire un concorso a cattedre per abilitati, limitatamente alle classi di concorso ed alle Regioni in cui vi siano posti effettivamente vacanti” per l’a.s. 2012-2013. Ora si parla di due concorsi, un primo ad ottobre per gli abilitati ed un secondo a primavera per coloro che hanno sostenuto il TFA.

A chi scrive non sembra credibile che vengano fatti due concorsi… il dubbio è che ci siano i soldi anche per uno solo: il rischio è che coloro che hanno sostenuto il TFA ordinario (ovvero tre test preliminari, corsi universitari, tirocinio, test finale e costi – da €. 1000,00 a € 2500,00) non riescano a partecipare ad alcun concorso. Quindi sembra ragionevole che chi ha superato il test nazionale per il TFA possa iscriversi da subito al concorso se esso verrà bandito ad ottobre. Altrimenti i giovani, una volta abilitati, comunque non riusciranno ad entrare nella scuola perché l’abilitazione è titolo necessario ma non sufficiente per l’assunzione.

Ma come avverranno le prove del concorso?
Il meccanismo attuale – fondato su quiz, prove scritte e orali – accerta, nell’ipotesi migliore, le dotazioni cognitive dei candidati, ma è del tutto inadeguato rispetto alla verifica delle capacità didattiche, relazionali, pedagogiche. Dunque, anche garantendo un ritmo biennale dei concorsi, l’inadeguatezza strutturale delle modalità di selezione non viene rimossa. Ricordiamo qui le due grandi obiezioni che portarono alla sospensione dei concorsi: quella qualitativa (non riesce a mettere effettivamente in chiaro le qualità necessarie ad un buon insegnante), e quella quantitativa (al concorso partecipano inevitabilmente decine di migliaia di candidati e quindi si deve prevedere l’impiego di un numero troppo elevato di risorse umane per un tempo troppo lungo). Premuti da questo massiccio impegno, gli insegnanti in ruolo faranno i concorsi e smetteranno di occuparsi degli studenti?

Su quale tipo di selezione qualitativa occorre dunque puntare?
Occorre principalmente accertare il curriculum professionale dell’aspirante, verificare il suo portfolio professionale. In pratica, sono le scuole presso cui il futuro insegnate ha fatto pratica (come precario o come tirocinante-praticante) ad essere in grado di dare un giudizio sulle qualità professionali del candidato. In aggiunta a questa documentazione, bisogna introdurre un colloquio, tenuto da esperti e insegnanti senior, per accertare de visu capacità, motivazioni, aspirazioni del candidato. Questa modalità non è praticabile mediante concorsi centralizzati e/o decentralizzati sul territorio. Non è l’amministrazione ministeriale che può operare questo tipo di reclutamento. Mentre sembra corretto che l’abilitazione sia nazionale, non si vede alcun motivo perché i concorsi siano nazionali: anzi quanto previsto dal titolo V della Costituzione sia in tema di ripartizione delle competenze tra Stato e Regione sia in tema di affermazione della autonomia della singola istituzione scolastica sembrerebbe muovere nella direzione opposta.

Realisticamente, quindi dovrebbe spettare alle reti di scuole l’accertamento delle capacità professionali e la decisione sulle assunzioni. Al Ministero dovrebbe invece spettare la competenza esclusiva di definire linee-guida e criteri generali, per assicurare un’omogeneità di impostazione a livello nazionale. Un’ ulteriore questione è legata alla attuale definizione della classi che rappresentano il riferimento necessario per il concorso. Sono state modificate quelle della secondaria di I grado ma non quelle della secondaria di II grado. Così come oggi sono definite, queste classi sono troppo numerose e quindi contribuiscono potentemente alla rigidità organizzativa del sistema. Usare di queste classi per immettere formalmente altro personale significa allontanare la possibilità di ampliare, a costi ragionevoli, l’autonomia didattica delle scuole (ma anche togliere un elemento che potrebbe rappresentare un riferimento interessante per avviare finalmente la possibilità di uno sviluppo di carriera non legato esclusivamente alla anzianità di servizio).
Mariella Ferrante
, Presidente Diesse Lombardia

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