È stato utile ascoltare Lavrov a “Zona bianca”

Polemiche per la partecipazione alla trasmissione di Rete 4 del ministro russo, che ne ha dette di tutti i colori. Qualche annotazione sul perché è sbagliato indignarsi

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov (foto Ansa)

L’intervista di 42 minuti di Giuseppe Brindisi al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov trasmessa nel corso del talk show Zona Bianca sarebbe un errore inaccettabile che il sistema televisivo italiano non doveva commettere in un solo caso: se Italia e Russia fossero in guerra fra loro.

Siccome però tale stato di guerra non è stato dichiarato da nessuno dei due paesi, al di là di giravolte retoriche, quella di Mediaset è solo una scelta editoriale discutibile che però si è rivelata utile per capire lo stato di difficoltà in cui si trova la politica della Russia, di cui è specchio una propaganda ripetitiva ed esposta a facile confutazione, l’intransigenza russa nei confronti del governo ucraino e l’indisponibilità di Mosca a battere strade diverse da un negoziato diretto con gli Stati Uniti.

Intervista e poi dibattito

Le critiche avanzate da uno spettro di esponenti politici, che va dai parlamentari di Italia viva che lanciano il monito «non possiamo lasciare che la nostra informazione diventi strumento per la propaganda antioccidentale» al presidente del Copasir Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) che ha annunciato un’istruttoria sul caso, passando per mezzo Pd con a capo il segretario Enrico Letta che ha denunciato lo «spot da propaganda di guerra anti Ucraina», si concentrano tutte su un punto: Lavrov ha potuto esporre le sue tesi senza contraddittorio, benché la maggior parte di esse fossero facili da confutare.

L’intervistatore non ha incalzato l’intervistato con domande complementari. Questo è vero, è vero che non c’è stato contraddittorio diretto, ma il contraddittorio indiretto c’è stato eccome: dopo l’intervista lo studio ha dato vita a un dibattito che è durato più di un’ora, nel corso del quale le posizioni aspramente critiche nei confronti di Lavrov erano largamente maggioritarie, in proporzioni simili a quelle della maggior parte dei talk show di questi tempi.

Nella prima infornata di commentatori spiccavano Augusto Minzolini, Andrea Margelletti, Oles Horodetskyy (presidente dell’associazione cristiana ucraini in Italia), Fausto Biloslavo, Maurizio Belpietro e Vittorio Sgarbi. Solo gli ultimi due, com’è noto, sono ascrivibili a posizioni contrarie all’invio di armi italiane all’Ucraina. Nella seconda infornata di ospiti è comparsa pure l’eurodeputato Pd Alessandra Moretti, il che fa nascere spontanea la domanda: il Pd che giudica la trasmissione uno «spot da propaganda di guerra anti Ucraina» è lo stesso che consente ai suoi eletti di prendervi parte?

La propaganda di Lavrov

Nel corso del suo intervento Lavrov ha fatto il possibile per screditare la propria credibilità: ha dichiarato che la Russia non chiede a Volodymyr Zelensky di arrendersi, ma di ordinare alle sue forze armate di cessare il fuoco (!); ha sostenuto che il bombardamento di alcune infrastrutture di Kiev proprio mentre il segretario dell’Onu Guterres era in visita nella capitale ucraina non aveva nulla a che fare con la presenza di costui; ha escluso che siano stati compiuti crimini di guerra da parte russa a Bucha; ha descritto il gruppo Wagner come una compagnia militare privata che opera indipendentemente dal Cremlino, secondo la pura logica del mercato e del profitto; ha assicurato che le operazioni militari russe si svolgono in modo da «minimizzare i rischi per la popolazione civile» (!); per replicare a una domanda che poneva la questione di come potrebbe essere filonazista un paese come l’Ucraina che ha scelto (votandolo al 70 per cento) per presidente un uomo politico di origini ebraiche, si è lanciato con impeto sulla buccia di banana della seguente dichiarazione: «Secondo me anche Hitler aveva origini ebraiche».

Inquietanti le parole sull’Italia, indicata come uno dei paesi in prima fila contro la Russia, e sulla guerra nucleare, che sarebbe un rischio da non sottovalutare. L’unico passaggio suscettibile di sollevare curiosità nell’opinione pubblica occidentale è stato quello in cui il ministro ha accusato l’Ucraina di non volere la resa degli assediati di Mariupol perché in tale caso si scoprirebbe che «sono presenti mercenari e ufficiali occidentali tra le fila dei radicali ucraini». Sarebbe interessante andare a vedere le carte, per scoprire chi sta bluffando.

L’interlocutore è l’America

Sul piano dell’interpretazione dei messaggi contenuti nell’intervista, le certezze sono poche ma decisamente evidenti. Lavrov ha insistito in termini molto estensivi sul tema della denazificazione, presentandola come una necessità che riguarda non semplicemente i componenti del battaglio Azov, ma tutte le forze armate ucraine e la direzione politica del paese; nessun accenno al riconoscimento dell’indipendenza delle secessioniste repubbliche del Donbass né dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa come obiettivi esaurienti dell’azione russa.

Il messaggio insito in questo massimalismo è chiaro: la Russia non è interessata a un cessate il fuoco e non presenta richieste formali; attende che siano gli Stati Uniti a fare il primo passo, facendo conoscere cosa sono disposti a concedere in cambio di un cessate il fuoco.

A Mosca non interessa sedersi a un tavolo con Zelensky (equivarrebbe a sminuire il rango della Russia, già indebolito dalla mediocre performance delle sue forze armate), a Mosca interessa un accordo con gli americani che ridisegni gli equilibri dell’Europa orientale e dei paesi post-sovietici. Finché l’America manda a Kiev armi e figure di spicco del suo governo che rilanciano la parola d’ordine della vittoria, la guerra continuerà, costi quel che costi.

La nostra stampa è più libera

Perché tutto questo avrebbe dovuto essere negato ai telespettatori italiani (al netto delle scene isteriche di alcuni ospiti della trasmissione), si fa fatica a capirlo: dopo due mesi di talk show nel corso dei quali si è sentito di tutto, ma anche di validissimi o almeno decorosi servizi di inviati dal fronte e meditate riflessioni di analisti ed esponenti politici in studio e sulle pagine dei giornali, pensare che i telespettatori italiani siano privi di anticorpi rispetto alle parole del ministro degli Esteri russo, equivale a infantilizzarli.

Con tutti i suoi limiti e difetti, il sistema italiano dell’informazione, sia pubblico che privato (con l’eccezione dei telegiornali Rai un po’ troppo monocordi), sta dando testimonianza della superiorità dei valori europei su quelli del mondo russo: sta dimostrando che la libertà di espressione e il confronto fra punti di vista diversi sono ricercati e sono possibili anche in una situazione di estrema tensione come quella creata dalla guerra d’invasione russa e dalla reazione europea (armi all’Ucraina e sanzioni alla Russia). Che attraverso gli studi di Cologno Monzese passi qualcosa che non passerebbe mai attraverso quelli delle tivù di Stato o private a Mosca, è qualcosa di cui andare fieri.

Frenare l’escalation

Denunciare come complicità col nemico il lavoro dei giornalisti, come hanno fatto in questa occasione Italia viva, il Pd e Urso per Fratelli d’Italia, ci rende simili a Putin. Ma soprattutto alimenta un clima psicologico da entrata in guerra, quando invece le poche carte in mano a un paese come l’Italia di oggi per aprire spiragli verso un percorso di pace stanno proprio nella non belligeranza formale e nell’esistenza di spazi di confronto delle idee e dei giudizi come sono le tv e in generale i media.

Siamo tutti consapevoli del piano inclinato verso il disastro su cui stanno scivolando le relazioni fra Russia e paesi della Nato; una zeppa che freni anche di un niente lo scivolamento sarà sempre benvenuta.

@RodolfoCasdei

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