«È meglio dare agli africani la possibilità di rimanere in patria»

Favorire lo sviluppo del Camerun aiuterebbe i giovani a rimanere, anziché spingerli ad emigrare. Le parole del vescovo Matjei ad Acs

«È giusto prevedere i flussi e regolamentarli con i mezzi di controllo statale ma è meglio dare la possibilità di rimanere in patria». Lo ha detto monsignor Sosthène Léopold Bayemi Matjei, vescovo di Obala, Camerun, durante un incontro organizzato da Aiuto alla Chiesa che soffre sul problema dell’emigrazione dal suo Paese.

L’intervento del vescovo va ad aggiungersi alle tante voci africane di chi, consapevole dei problemi e senza pregiudizi ideologici, si preoccupa della sorte dei propri connazionali e di creare ricchezza in Africa, innanzitutto, perché, come esiste un diritto ad emigrare, ne esiste anche un altro a rimanere.

Rimanere in patria

Il senso dell’intervento di monsignor Matjei ricalca quello dell’educatore sierraleonese John Kanu che vi abbiamo proposto qualche settimana fa. «Non solo i cristiani – ha detto il vescovo – ma tutti gli abitanti del Camerun preferiscono rimanere nella loro patria. Esaminando i dati dell’emigrazione verso l’Europa, da circa 20 anni si registra una crescita dei camerunesi che emigrano verso Francia e Italia a causa del peggioramento della situazione socio-politica interna. Ad esempio, un medico in Camerun percepisce circa 350 euro al mese. Con uno stipendio così basso non riesce a vivere. L’imprenditoria non si sviluppa perché non c’è accesso dignitoso alle risorse economiche: le nostre banche, che sono tutte francesi o inglesi, applicano tassi di interesse per i prestiti che arrivano al 10-12 per cento. La nostra moneta, il franco Cfa, è controllata dalla Francia, questo accade in Camerun e in altri 13 Paesi africani, e abbiamo l’obbligo di destinare metà delle nostre risorse alla Banca di Francia».

Sosthène Léopold Bayemi Matjei, Vescovo di Obala, Camerun, con Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre (foto Acs)

Risorse e formazione

Il Camerun è squassato ai terroristi di Boko Haram e, aggiunge Matjei, «dagli scontri tra anglofoni e francofoni che utilizzano le risorse economiche per sovvenzionare le loro guerre e non per creare e favorire lo sviluppo professionale, le infrastrutture e le strutture necessarie al nostro Paese. La situazione è complicata e aggravata dalla corruzione. Assistiamo a una corsa al potere e temiamo un colpo di Stato».

I cambiamenti climatici, la siccità, la mancanza di risorse e lavoro sono tutti fattori che spingono la gente ad emigrare. Eppure, dice il vescovo, «abbiamo le risorse umane per rispondere alle necessità di lavoro industriale se vengono fatti i giusti investimenti». Per questo «ci vuole un cambiamento completo e per farlo bisogna partire dalla gestione dell’emergenza con lo scopo di creare un futuro, dare una speranza. È giusto prevedere i flussi e regolamentarli con i mezzi di controllo statale ma è meglio dare la possibilità di rimanere in patria».

Creare ricchezza in Africa, chiedere ai grandi organismi internazionali di confrontarsi con chi opera sul territorio e non solo con gli Stati, investire in “formazione” affinché gli africani in primis possano operare nel loro Paese, sono le sfide da affrontare. L’apporto di Acs è fondamentale, ha detto il vescovo, che ha raccontato di aver costruito «una scuola agraria per formare i ragazzi dopo la maturità, ma dopo la formazione, che dura 3 anni, è necessario l’inserimento nel mondo del lavoro. Stiamo creando cooperative per formare ragazzi e donne. Alcune di esse si sono associate, hanno unito le capacità economiche e fanno investimenti in autonomia in modo da incrementare la produzione».

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