«È bianca, è bianca!». Quel meraviglioso caos latino in piazza San Pietro

Piazza San Pietro, 13 marzo. Quasi le sette di sera. Piove, e fa piuttosto freddo. Nel colonnato la folla guarda al comignolo e aspetta; ride, telefona, fotografa, eccitata. Qualcuno, zitto, prega. Alle 19 e 6 minuti dal secco camino della Sistina sbuffa fuori improvvisa una bolla di fumo. Noi in piazza per un attimo immobili, la faccia in su, il fiato sospeso. Una frazione di secondo, un “ohhh” corale che colma il bacino del colonnato, gli occhi di tutti alla nuvola che si sfa nel cielo buio. «È bianca!» urla qualcuno. «È bianca! È bianca!» gridano, da un lato all’altro della piazza. E subito: «Viva il Papa!».

ABBIAMO IL PAPA. E, in quel momento, le campane. Le campane di San Pietro, grosse, pesanti, si mettono in moto e iniziano a dondolare, lente; come giganti che si sveglino adagio dal letargo. È un’onda di oceano quel rintocco che batte e pulsa, cuore vivo, svegliato dal sonno, di Roma. Abbiamo il Papa, abbiamo il Papa, mi gridano sorridendo degli sconosciuti. Da viale della Conciliazione e da Borgo Pio arriva sempre nuova gente, quasi di corsa, come chiamata fuori dalle case da un richiamo antico. C’è un’ebbrezza nell’aria che io non ho mai provato: come una febbre gaia, che contagia. Dal castello di impalcature in fondo alla piazza cameramen e giornalisti di tutto il mondo riprendono, guardano, sbalorditi e quasi commossi. D’improvviso Roma sembra dimenticarsi la crisi, il voto, Grillo, lo stallo in Parlamento e lo spread: d’improvviso questa sera a Roma la gente sorride, e sembra contenta.

CAOS LATINO. Non ero mai stata in San Pietro, quando la fumata bianca annuncia un nuovo Papa. Bisogna esserci fisicamente, per sentire fino a dentro le ossa quanto profondo è il legame tra la città e Pietro. Magari, poi, a Messa molti vanno solo a Natale. Eppure c’è una storia di viscere tra Roma e il Papa, storia tramandata di padri in figli, e in figli, ancora. La lontana carezza di Giovanni Paolo II passato in visita dal loro oratorio, in quanti l’hanno ancora addosso. E il Cupolone che veglia dall’alto, solenne eppure benevolo, questo meraviglioso caos latino. E suonano i rintocchi – fondi, larghi – e i romani accorrono senza poter resistere alla chiamata. Come se quel tocco di campane generose fosse davvero il battito di un cuore – mi fa pensare al ritmico tonfo del sangue materno, quello che per primo assicura al bambino nel ventre, nel buio: non sei solo. Questa sera a San Pietro in quell’eco di campane si sta come dentro a un’acqua di origini, a un grande mare; calmo però, e tiepido, dove si può vivere, e avere figli, e sperare.

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