Due milioni in piazza a Hong Kong, una sfida frontale al regime comunista cinese

Nella protesta più grande della storia della regione speciale, il 30 per cento dell'intera popolazione ha chiesto alla governatrice Carrie Lam di dimettersi e cancellare una legge che svenderà la libertà della città alla Cina

Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, pensava di cavarsela con poco. Ma si sbagliava. Lunedì un milione di persone erano scese in piazza per protestare contro la volontà del governo di approvare la legge sull’estradizione, che permetterà all’esecutivo filocinese di Hong Kong di estradare in Cina tanto i residenti quanto gli stranieri che il regime comunista considera “criminali”. Lam ha semplicemente ignorato la protesta, affermando di «non capire» le sue ragioni. Mercoledì centinaia di migliaia di persone sono tornate a manifestare, costringendo il Parlamento a rimandare la discussione della legge.

DUE MILIONI DI PERSONE IN PIAZZA

Le richieste della popolazione di Hong Kong erano chiare: il ritiro definitivo della legge e le dimissioni di Carrie Lam. La governatrice non ha concesso nulla, anzi, ha inviato la polizia a reprimere la protesta con l’utilizzo di idranti, gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Centinaia di manifestanti sono stati fermati, altri sono rimasti feriti.

Hong Kong ha per questo reagito con forza e domenica sono scese in piazza quasi due milioni di persone, il 30 per cento dell’intera popolazione della città, per ribadire la volontà della gente. È la manifestazione più partecipata della storia di Hong Kong, superiore anche a quella seguita alla restituzione della città alla Cina nel 1997. Lam, chiusa in un angolo, ha dichiarato che non si dimetterà ma piangendo durante un messaggio televisivo, si è scusata e ha detto che la legge è «rimandata sine die».

«LE SCUSE NON BASTANO»

«Carrie Lam non capisce: deve dimettersi e la legge deve essere cancellata in modo definitivo», hanno ribadito due milioni di persone in piazza intonando slogan contro il governo e a favore dell’autonomia di Hong Kong. Bonnie Leung, portavoce del Civil Human Rights Front, che ha contribuito a organizzare la manifestazione, ha reagito così: «Queste scuse non bastano. Non si è scusata per la reazione violenta della polizia. Solo quando ritirerà la legge e si dimetterà, le proteste finiranno. Questa è l’unica risposta che vogliamo».

La manifestazione di domenica si è svolta in modo pacifico. Molti dimostranti hanno intonato slogan a favore della democrazia, della libertà di Hong Kong dalla Cina e contro la governatrice: «Carrie Lam non è nostra madre». Il riferimento è a un’intervista al South China Morning Post nella quale Lam affermava di non poter dare ascolto alle ragioni della popolazione, così come una madre non può dar retta a tutti i capricci dei figli.

«LA LIBERTÀ È UN DOVERE»

Decine di migliaia di persone sono scese in piazza anche a Taiwan per sostenere la battaglia di Hong Kong, «Taiwan è a fianco di Hong Kong», recitavano gli slogan. Tra i manifestanti c’era anche l’avvocato e famoso attivista per i diritti umani Teng Biao: «La libertà non è un regalo», ha dichiarato come riportato da Radio Free Asia, «ma un dovere che tutti devono onorare. Noi appoggiamo Hong Kong contro la Cina e dobbiamo essere in grado di sconfiggere questa legge e il regime comunista insieme a essa».

Molti manifestanti hanno passato la notte in piazza. Al mattino, quasi tutti si erano dispersi ascoltando l’invito della polizia. Migliaia di persone hanno comunque continuato a protestare e a loro si è unito anche Joshua Wong, uno dei leader del Movimento degli ombrelli, appena rilasciato dal carcere al quale era stato condannato per il suo attivismo.

Resta da capire che cosa farà Carrie Lam: se ascolterà la popolazione e si dimetterà o porterà avanti la linea dura suggerita dal partito comunista cinese, che vuole la legge per erodere l’autonomia e la libertà di Hong Kong. La popolazione promette, se non verrà ascoltata, nuove proteste: la situazione resta incandescente.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Exit mobile version