Fukushima fa cambiare idea alla Svizzera sui rifugi antiatomici

Il Parlamento elvetico vota una nuova legge proposta dal governo che conferma l'obbligo per chi voglia costruire condomini di dotarli di rifugi antiatomici. Ma due giorni prima del disastro nucleare di Fukushima era stata approvata una mozione che spianava la strada all'abrogazione pura e semplice della legge sui rifugi antiatomici

Paese che vai, conseguenze di Fukushima che trovi. Il collasso della centrale nucleare giapponese, travolta dallo tsunami dell’11 marzo scorso, ha prodotto processi di revisione in materia di sicurezza degli impianti, di programmi energetici e di opzioni per il futuro praticamente in tutti i paesi del mondo. Ma con forti differenze di oggetto e di enfasi, anche quando si tratta di paesi geograficamente vicini. In Italia Fukushima ha causato un successo dei “Sì” al referendum contro il ritorno del nucleare nel paese, in Svizzera ha dato nuovo impulso alle normative che obbligano gli elvetici a costruire rifugi antiatomici. In entrambi i paesi la calamità made in Giappone ha invertito le tendenze che si stavano manifestando: in Italia quella di riaprire la porta al nucleare, in Svizzera quella di cancellare l’obbligo di dotare ogni nuovo edificio costruito di bunker antiradiazioni.

Il Parlamento elvetico ha appena votato una nuova legge proposta dal governo che conferma l’obbligo per chi voglia costruire condomini e grandi edifici di dotarli di rifugi, mentre i residenti di casette monofamiliari potranno derogare alla norma pagando una tassa di 800 franchi a persona (pari a 676 euro, in passato l’importo era di 1.500 franchi) che dà diritto a un posto nei rifugi collettivi, amministrati dalle autorità locali. Ironia della sorte: il 9 marzo scorso, due giorni appena prima del disastro giapponese, lo stesso Parlamento aveva approvato una mozione presentata dal Partito socialista che spianava la strada all’abrogazione pura e semplice della legge sui rifugi antiatomici e sull’obbligo di prevederli nelle nuove costruzioni. Quindici anni di sforzi del Partito socialista per raggiungere l’obiettivo dell’abolizione sembravano sul punto di realizzarsi, e invece si preparava la tragica beffa del destino.

Sulla carta la Svizzera sembrerebbe non avere bisogno di nuovi bunker: ne esistono attualmente 300 mila, in grado di ospitare tutti quanti i 7,6 milioni di abitanti del paese con un avanzo di circa 1 milione di posti liberi. La legge in vigore dal 1978 ha di fatto aggiunto ogni anno una capacità di 50 mila nuovi posti a quelli in precedenza esistenti. Ma questa considerazione non fa i conti con l’abito mentale svizzero dell’essere sempre pronti a tutto, abito mentale che ha la sua caratteristica incarnazione nel coltellino multiuso. Non è solo l’eventualità di una catastrofe nucleare che motiva alla massima prevenzione possibile: in maggio il governo ha deciso la fuoriuscita del paese dal nucleare, programmandola per l’anno 2034; ma esistono anche altri rischi. Una o più “bombe sporche” di matrice terroristica, un disastro naturale o un incidente chimico (l’industria chimica è forse la più importante manifattura svizzera) sono altrettante ipotesi che hanno spinto il governo a un sussulto di prudenza, facilitato dai riflessi psicologici del dopo-Fukushima. Già oggi i rifugi funzionano, sia quelli appartenenti a privati che quelli comunali, come depositi di viveri, carburante e acqua non contaminati, utilizzabili per qualunque genere di emergenza. Le riserve statali corrispondono a 4 mesi e mezzo di consumi di alimenti e carburante.

Il paese non ha nemici (la Libia di Gheddafi, che aveva auspicato la spartizione della Confederazione Elvetica fra i suoi vicini dopo la crisi seguita all’arresto di Hannibal Gheddafi figlio del colonnello, non è più in grado di nuocere), le imprese dell’edilizia si lamentano dei costi aggiuntivi, il Partito socialista insiste che i bunker antiatomici sono solo relitti della Guerra fredda, ma nei mesi a venire centinaia di rifugi andranno ad aggiungersi ai 300 mila già esistenti.

Exit mobile version