Il crollo senza fine di Haiti

Il terremoto sbriciola case e persone, incombe l'uragano, gli ospedali traboccano di feriti, le bande armate controllano le vie dei soccorsi a vittime e sfollati. Aiutare il paese è una lotta contro il tempo

Haiti, dal sisma del 14 agosto si contano 1.300 vittime, oltre 5.700 feriti. Si parla di migliaia di dispersi e decine di migliaia di sfollati (foto Ansa)

Haiti, poche ore dopo il grande boato. «Ho otto figli e stavo cercando l’ultima. Non la vedrò mai più viva. Il terremoto ha distrutto la mia vita. Mi ha portato via una bambina». Il grido di Jean-Claude Daniel si è alzato tra le lacrime e le macerie di Les Cayes: ore di ricerche di sopravvissuti ma al tramonto tutto quello che quel grande hotel crollato era riuscito a restituire era il corpo di una bambina di 7 anni, che viveva e giocava in una casetta adiacente alla struttura. Una bimba che non aveva vissuto la grande paura del 2010 e a differenza dei molti che appena avvertita la scossa avevano iniziato a correre fuori dalle case, lontano dagli edifici, non è riuscita a salvarsi.

Il sisma e la tempesta

Haiti crolla, il terremoto di magnitudo 7.2 che il 14 agosto ha sbriciolato in pochi minuti oltre 13 mila case continua a produrre scosse e restituire cadaveri: 1.300 le vittime estratte dalle macerie, oltre 5.700 i feriti accolti in presidi sanitari ormai al collasso, migliaia i dispersi, decine di migliaia gli sfollati.

Revocata l’allerta tsunami si teme ora l’arrivo nelle prossime ore della tempesta tropicale Grace. Due disastri in rapidissima successione. Le immagini provenienti dalla regione sud ovest del paese mostrano una distesa di massi, rovine, gente che scava con le pale, con le mani. A Les Cayes, località più colpita insieme a Jérémie, non resta più niente del tetto e parte della cattedrale, colpita nel giorno dei festeggiamenti del santo patrono della città, la gente in preghiera, i turisti a spasso. L’ospedale non riesce più ad accogliere feriti, qualcuno come Richard Hervé Fourcand, ex senatore haitiano, sta noleggiando aerei privati per traferirli a Port-au-Prince.

Le bande complicano i soccorsi

Il primo ministro haitiano, Ariel Henry, ha dichiarato lo stato d’emergenza, Joe Biden ha annunciato aiuti “immediati”, aiuti promessi anche da Argentina e Cile. Ma il primo soccorso è un’attività disperata. Non solo una lotta contro il tempo e l’arrivo di Grace, ma una macchina ostacolata dall’attività delle feroci bande armate che nell’area marittima di Martissant, appena a ovest della capitale haitiana, stanno complicando i soccorsi: da mesi volano proietti sulle auto di passaggio, vengono aggrediti i conducenti, rapito chiunque a scopo di riscatto. «Nessuno può attraversare l’area», ha spiegato all’Ap Ndiaga Seck, portavoce dell’Unicef a Port-au-Prince, «possiamo solo sorvolarla o prendere un’altra rotta». Internet salta continuamente: poco si sa nella capitale della reale entità dei danni del terremoto.

«Non si hanno ancora notizie dalle Caritas parrocchiali dal momento che la comunicazione, soprattutto con le zone rurali, è difficile – confermava la nota diffusa dalla Caritas italiana subito dopo la prima scossa -. Anche la diocesi di Jérémie rimane isolata al momento e risulta colpita anche la diocesi di Nippes.  Dai nostri partner storici i “Petits Frères Sainte Thérèse de l’Enfant Jésus”, con i quali la Caritas italiana ha una collaborazione più che decennale, arrivano aggiornamenti che confermano la gravità della situazione. Molte famiglie hanno perso la loro casa e si registrano molte vittime con un bilancio che purtroppo è destinato a crescere».

Si trema da oltre 11 anni

«Le comunicazioni con le zone colpite sono praticamente bloccate. Stiamo cercando di avere dati aggiornati sulla nostra équipe ma non è facile. Sappiamo che gli operatori internazionali stanno bene ma dei locali non abbiamo ancora notizie» ha spiegato Fiammetta Cappellini, responsabile di Avsi nell’isola, ad Avvenire. Anche lì, nel quartiere generale di Port-au-Prince il sisma si è avvertito «forte e prolungato» nonostante l’epicentro, identificato dallo United States Geological Survey a circa 130 chilometri dalla capitale fosse ben lontano da quello del terremoto che, seppure di magnitudo inferiore, travolse il paese nel 2010 uccidendo oltre 220 mila persone.

Lo sciame sismico che seguì allora nelle zone più densamente abitate rese le operazioni di soccorso di organizzazioni umanitarie e volontari di una difficoltà inaudita. Un bilancio di morti e feriti aggravato in capo a pochi mesi dal colera, quando i 454 membri del contingente del Nepal, alcuni dei quali malati prima di partire, hanno permesso che gli scoli sanitari finissero nelle acque del fiume Meille. Ci mise sette anni l’Onu ad ammettere di essere stato «moralmente responsabile» della diffusione dell’epidemia, ma allora le vittime del colera innescato tra i sopravvissuti al sisma erano già 10 mila, 800 mila i malati gravi.

La violenza di bande e uragani

E venne l’uragano Sandy, nel 2012, e nel 2016 l’uragano Michel. Devastata dalla corruzione, dall’emergenza alimentare, dalla povertà e dall’instabilità politica, dai rapimenti e dalle violenze culminate, il 7 luglio scorso, con l’assassinio del presidente Jovenel Moïse, Haiti ha ricevuto le prime dosi di vaccino solo un mese fa, sottolineano i giornali. Ma non è certo il Covid bensì il degrado del tessuto sociale del paese e la presenza dei gruppi armati che imperversano da mesi per le strade, razziando case e quartieri e mettendo in fuga famiglie, donne e bambini a rappresentare il più grande ostacolo per le attività di soccorso ai feriti e il trasporti degli aiuti.

Come spiegava ancora Cappellini a poche ore dal sisma a Sky tg24 ricordando l’ondata di violenze seguite all’assassinio del presidente: «La grave crisi che il paese sta attraversando rischia di inficiare la risposta del sistema umanitario». Nonostante le strade poco percorribili e insicure dalla capitale è partito immediatamente un convoglio Avsi per un primo soccorso agli sfollati.

 

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