Cosa fu la Cristiada

Articolo tratto dall’Osservatore romano – La guerra cristera rappresenta uno degli eventi più affascinanti e più inquietanti della storia moderna: dall’11 luglio 1926 — quando l’episcopato messicano decise la sospensione del culto in reazione alle leggi di limitazione della libertà religiosa del presidente Plutarco Elías Calles (1877-1945) — fino al 21 giugno 1929, con gli Arreglos sobre la cuestión religiosa sotto il presidente Emilio Portes Gil (1890-1978), l’esercito repubblicano, che contava 70.000 soldati, condusse una campagna militare all’interno dei confini nazionali, contro l’esercito cristero, un insieme di 50.000 cattolici di ogni ceto sociale, spontaneamente radunatisi al grido di ¡Viva Cristo rey!

L’opinione pubblica messicana è divisa sull’interpretazione da dare a quegli avvenimenti drammatici che videro migliaia di religiosi e battezzati braccati, torturati e assassinati; tanto che, ancora oggi, non esiste neppure un consenso sul numero delle vittime e dei rifugiati che il conflitto occasionò, sebbene la stima più attendibile si aggirerebbe sulle 250.000 persone, per ognuna delle due categorie.

Per alcuni, la Cristiada, nonostante le sue tragiche conseguenze, fu un’operazione di pacificazione indispensabile per consolidare la legalità costituzionale di un paese che, traumatizzato dalla dittatura di Porfirio Díaz Mory (1830-1915), era precipitato nell’instabilità cronica sotto la spinta di moti insurrezionali eterogenei fra loro come quelli dell’impetuoso Doroteo Arango Arámbula alias Pancho Villa (1878-1923) e del mitico Emiliano Zapata Salazar (1879-1919).

Per altri, al contrario, si trattò di un colpo di coda della rivoluzione messicana (1910-1920) che cercò la sua legittimazione soffocando nel sangue la reazione di un popolo che, non potendo tollerare la dissennata applicazione del dettato di alcuni articoli della Costituzione del 1917 — fra cui l’articolo 5 che sopprimeva gli ordini monastici, l’articolo 24 che impediva ogni forma di culto fuori dalle chiese o l’articolo 130 che sospendeva i diritti civili dei religiosi — difese eroicamente (prima in forma pacifica e poi in forma armata quando il suo reclamo rimase inascoltato) la sua identità religiosa. Tant’è che gli storici messicani contemporanei da Jean Meyer Barth, probabilmente il maggior studioso della Cristiada, a Enrique Krauze Kleinbort, capofila della scuola liberista, hanno inquadrato questa pagina della storia messicana sia nell’ambito politico-militare — nel senso di un tentativo controrivoluzionario che fallendo consolidò l’egemonia del partito politico il cui spirito si cristallizzò nell’espressione ossimorica revolución institucional — sia in quello socio-culturale (dal terribile tributo di sangue che assicurò, nel bene e nel male, la trasformazione della nazione verso un nuovo ordine sociale).

La continuità fra la guerra cristera e significativi avvenimenti precedenti come la lotta politica fra liberales e conservadores che, imperversando per gran parte del XIX secolo, raggiunse il suo parossismo con le Leyes de reforma — promulgate sotto Benito Juárez García (1806-1872), primo indigeno ad accedere alla presidenza — che tolsero numerosi diritti alla Chiesa fra il 1855 e il 1863, dà una misura delle pervasive conflittualità che afflissero le relazioni tra Chiesa e Stato proprio nella nazione che, paradossalmente, aveva trovato la sua identità nazionale in un simbolo religioso, invocato sacerdote patriota Miguel Hidalgo y Costilla (1753-1811) per scatenare la guerra d’indipendenza dalla Spagna, nel grido: ¡Viva nuestra Madre santísima de Guadalupe!

Gli effetti successivi della Cristiada poi, non possono essere sottovalutati quando si pensa alle caratteristiche tipicamente messicane che contraddistinsero il modus vivendi fra le autorità della Chiesa cattolica e i poteri civili, almeno fino alle riforme abbastanza recenti condotte sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari: la Ley de asociaciones religiosas y culto público — che il 15 luglio 1992 reintrodusse la personalità giuridica per le associazione religiose — e la stabilizzazione delle piene relazioni diplomatiche fra la Repubblica messicana e la Santa Sede, verificatasi il 21 febbraio dello stesso anno.

Tutti questi dati sottolineano il valore dell’ottimo studio Pio XI e La Cristiada. Fede, guerra e diplomazia in Messico 1926-1929 (Brescia, Morcelliana, 2016, pagine 540, euro 40) con prefazione di Francesco Margiotta Broglio. In esso, Paolo Valvo ha analizzato, con grande rigore scientifico, il materiale dell’archivio di Pio XI, messo a disposizione dall’Archivio storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e dell’Archivum Romanum Societatis Iesu, riuscendo a ricostruire importanti elementi del quadro internazionale della guerra cristera che si potrebbero riassumere in tre punti.

Il primo è che la Santa Sede guidò uno sforzo di mobilitazione del cattolicesimo internazionale, sia per allertare l’opinione pubblica mondiale su quanto stava accadendo in Messico, sia per cercare una soluzione pacifica al conflitto per mezzo di tutti i canali diplomatici a sua disposizione. Il secondo è che la posizione di Pio XI al riguardo della decisione dei cattolici di prendere le armi contro il governo piuttosto che di limitarsi a una resistenza passiva, fu vagliata attraverso la lente di una panoplia di possibili modelli di rapporti tra Stato e Chiesa che spaziavano da quello del Kulturkampf bismarckiano fino a quello della Separation of Church and State definita dal First Amendment del Bill of Rights della Costituzione statunitense. Il terzo è che la Chiesa fece tesoro dell’esperienza messicana per cimentarsi con le enormi sfide che si sarebbero presentate nel contesto della nascita e della crescita dei totalitarismi sovietici e nazisti.

Questi tre elementi e ben altri, sono personificati nelle figure storiche che si rendono vive per mezzo dei loro carteggi e che sfortunatamente non sono ancora abbastanza conosciute: il gesuita americano Edmund A. Walsh, i vescovi di Morelia e di Tabasco, Leopoldo Ruiz y Flores e Pascual Díaz y Barreto, e il diplomatico cileno Miguel Cruchaga Tocornal; impossibile non rivivere in questi e in molti altri protagonisti storici, i dilemmi morali (e anche personali) del whiskey priest descritto magistralmente da Graham Greene in The Power and the Glory (1940). Visto la complessità di tali dilemmi, il romanzo fu pubblicato anche sotto il titolo The Labyrinthine Ways e il lavoro di Valvo ha offerto ulteriori elementi che corroborano quanto labirintica effettivamente sia l’equazione storica della Cristiada, ma anche quanto il patrimonio archivistico della Santa Sede e della Compagnia di Gesù possano essere strumenti di estrema importanza per evidenziarne correttamente le insospettabili (o comunque finora insospettate) sfaccettature.

Confrontarsi con le complessità del passato è il pesante compito di chi esamina la storia; assumerne le idiosincrasie è quello di chi è chiamato a prenderla in carico. Lo sanno bene i messicani che hanno visto la loro patria, sin dall’arrivo del conquistador per antonomasia Hernán Córtes (1485-1547), essere il teatro di incontri e di scontri di culture apparentemente non riconciliabili. Questo indiscutibilmente è stato il destino del popolo che celebra il suo simbolo religioso nazionale con le parole del salmo 147 taliter non fecit omni nationi: riuscire a reinterpretarsi continuamente nella dolorosa ricomposizione di entusiasmanti contrasti.

Quello che non si può non lodare più di tutto, quindi, è l’onore e il coraggio dei figli di una terra, cuna de hombres cabales — come celebra la tradizionale aria México lindo y querido — qualunque sia stato il loro ruolo storico concreto. Non ci si poteva aspettare niente di meno dagli eredi di una cultura antichissima e nobilissima che fece della armonizzazione della massima contrapposizione — la celebrazione della vita e il culto della morte — il baricentro della sua civiltà, come testimoniano le vestigia della stupefacente Teotihuacan, che in nahuatl significa per una ironica, ma quanto mai opportuna ambivalenza di accezioni, sia “il luogo della creazione degli dei”, sia “il luogo dove gli uomini divennero dei”.

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