Cosa farebbero gli americani nei panni degli ucraini? La risposta non è scontata

Così i sondaggi d’opinione rilevano l’orientamento dei cittadini statunitensi verso la guerra (in Ucraina o negli Usa), la resistenza, l’ipotesi no-fly zone

Manifestazione contro l’invasione russa e la guerra in Ucraina a Times Square, New York (foto Ansa)

E se invece che l’Ucraina una grande potenza avesse invaso il territorio degli Stati Uniti? Come reagirebbero gli americani? Prenderebbero le armi per resistere o si arrenderebbero? Come parte di un recente sondaggio sulle attitudini dei cittadini degli Usa rispetto all’invasione russa dell’Ucraina condotto il 7 marzo scorso su un campione di 1.374 persone, l’istituto demoscopico costituito presso l’università di Quinnipiac nel Connecticut ha chiesto agli americani come reagirebbero se domani si trovassero nelle stesse condizioni in cui oggi si trovano gli ucraini: resterebbero nel paese a combattere contro l’invasore, o fuggirebbero all’estero? Una maggioranza del 55 per cento ha risposto che resterebbe a combattere, mentre il 38 per cento ha ammesso che abbandonerebbe il paese.

Profughi e combattenti

I risultati del sondaggio però variano molto se si prende in considerazione l’opinione politica dei sondati e la classe di età. Mentre fra i simpatizzanti repubblicani quelli che dichiarano di voler combattere sono il 68 per cento e quelli che sceglierebbero la via dell’esilio sono il 25 per cento, fra gli indipendenti il divario scende a 57 per cento di resistenti e 36 di aspiranti profughi, e fra i democratici addirittura quelli che dichiarano apertamente che si darebbero alla fuga sono la maggioranza: 52 per cento contro 40 per cento di pronti a resistere.

A livello di classi d’età la dicotomia è ancora più allarmante: fra coloro che hanno fra i 50 e i 64 anni, di entrambi i sessi, coloro che resterebbero a combattere sono due volte e mezzo più numerosi di quelli che fuggirebbero: 66 per cento contro 28 per cento. Ma fra le classi di età fra i 18 e i 34 anni – cioè proprio quelle che dovrebbero rappresentare il baluardo di un paese minacciato da un’invasione nemica – i probabili profughi battono i combattenti per 48 a 45 per cento.

Risposte «inaccettabili»

I risultati del sondaggio hanno provocato molti commenti. Fra i più taglienti quello dello scrittore e conduttore radiofonico Charles C.W. Cooke, esponente della destra libertaria di origine britannica naturalizzato statunitense nel 2018:

«Non riesco a immaginare altro che due possibili ragioni per le quali un uomo dotato di capacità fisica possa rispondere a un sondaggista che fuggirebbe di fronte a un’invasione straniera. Il primo è che sia convinto che l’America non costituisca qualcosa per la quale valga la pena battersi, perché ha meno valore del governo dittatoriale che imporrebbe l’invasore. Il secondo è che crede che, mentre lui fugge, qualcun altro combatterà al suo posto. Nessuna delle due motivazioni è accettabile. Non riuscire a comprendere la straordinaria fortuna di essere americani significa essere colpevoli di ignoranza storica e di ingratitudine cronica, mentre credere che l’America merita di essere difesa ma non essere disposti a farlo significa essere colpevoli di vigliaccheria nella sua più perfetta definizione. È una questione di igiene civica di base: la percentuale di giovani maschi americani che dichiarano di essere pronti a resistere in caso di un attacco al loro paese dovrebbe essere prossima al 100 per cento, perché senza il loro apporto la nostra astratta dedizione a ideali come libertà, democrazia e uguaglianza non significherebbe nulla».

«La realtà è diversa dalle ipotesi»

Ha cercato di gettare acqua sul fuoco Jonah Goldberg, un altro analista politico conservatore non trumpiano, fondatore della National Review Online e oggi direttore di The Dispatch:

«Sono d’accordo con Charlie Cooke e con gli altri che sono sinceramente disgustati dei risultati del sondaggio, e in particolare sono d’accordo con il motivo per cui ci si deve sentire disgustati, così come lo ha espresso Cooke. Ma non credo ai suoi risultati. Se l’America fosse invasa, sono sicuro che molte delle persone che hanno risposto che resterebbero a combattere farebbero i bagagli e partirebbero per un centro di accoglienza per profughi in Messico o in Canada. E sono sicuro che molti di quelli che dicono che se la svignerebbero, resterebbero in giro per farla pagare cara a Ivan. Sì, sto dicendo che alcuni dei tizi che fanno dichiarazioni roboanti e che ostentano distintivi con su scritto “questi colori non fuggono” scapperebbero a gambe levate da qui, mentre alcuni giovani della generazione “fiocco di neve” scarsamente mascolini tenderebbero imboscate ai convogli russi nel nord del Michigan. Non lo dico per una segreta ammirazione per i giovani dotati di poco testosterone o per animosità nei confronti della vecchia guardia. Sto solo dicendo che gli esseri umani rispondo alle sfide della realtà in un modo diverso da come rispondono alle pure ipotesi. Come ha detto una volta quel famoso psicologo sociale che era Mike Tyson, “tutti quanti sanno cosa fare, finché non prendono un pugno sulla bocca”».

Altri sondaggi

Su altri aspetti della crisi ucraina i risultati dei sondaggi fra gli americani variano selvaggiamente. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos del 4 marzo sbandierato nei giorni scorsi da Volodymyr Zelensky e dalla stampa di Kiev, il 74 per cento degli americani sarebbe favorevole all’istituzione di una no-fly zone sui cieli dell’Ucraina.

Invece secondo YouGov America, un altro istituto molto accreditato, i favorevoli al 9 marzo sarebbero solo il 40 per cento, in discesa dal 45 per cento della settimana prima. L’istituto evidenzia che gli americani non avrebbero tutti chiare le implicazioni di una no-fly zone. Per esempio alla domanda se le forze americane dovrebbero abbattere un aereo da guerra russo che sorvolasse i cieli dell’Ucraina (eventualità compresa nel concetto di no-fly zone), il 28 per cento del 40 per cento di americani favorevole alla no-fly zone si dichiara contrario.

@RodolfoCasadei

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