Non c’è niente di più laico del Concordato

Il concordato non è violazione del principio di laicità, ma sua manifestazione più genuina

tratto dal Centro studi Livatino A margine delle polemiche sollevate dopo la consegna della Nota verbale della Santa Sede al governo italiano sul ddl Zan, ancora una riflessione sullo strumento giuridico del Concordato per regolare le relazioni tra due autorità indipendenti e sovrane, inteso non già quale negazione, ma quale affermazione del principio di laicità.

L’intervento della Santa Sede sul ddl Zan ha sollevato polemiche non solo sul merito, ma anche sul metodo, tanto che vi è chi ha parlato di ingerenze indebite nell’attività del Parlamento e di violazione della laicità dello Stato. Il tema concordatario è vasto come quello della laicità, articolato e complesso. L’occasione può tuttavia essere colta per formulare riflessioni di carattere generale, a fronte dei più comuni fraintendimenti.

Il presidente del Consiglio, intervenendo brevemente sul punto, ha richiamato la “laicità” dell’ordinamento italiano. Ora, se autorevole ma minoritaria dottrina ha ritenuto che lo Stato italiano sia liberale e democratico, ma non laico, stante la ineludibile fondazione della laicità nel principio del separatismo assoluto tra Stato e Chiesa, che nell’ordinamento italiano non sarebbe attuato proprio in virtù della presenza del Concordato e degli articoli 7 e 8 della Costituzione, va detto però che il principio di laicità può essere interpretato in due accezioni distinte, una delle quali vira verso il laicismo, e l’altra converge sulla effettiva natura della laicità.

Il principio di laicità non comporta l’esclusione della religione o della Chiesa dalla vita pubblica, politica, giuridica, sociale, e non significa riduzione al silenzio nel campo etico e antropologico che precede le scelte politiche e legislative: sia in ragione dei principi fondanti del sistema democratico – all’interno del quale nessuno, neanche la Chiesa, può essere silenziata se articola la propria posizione –, sia in ragione della missione della Chiesa che è e rimane costante nel tempo, cioè la salus animarum al di là di ogni epoca storica e oltre ogni conformazione politica e istituzionale.

Diversamente da quanto è stato di recente suggerito dal professor Alessandro Giovannini, la laicità non è da intendersi in modo negativo, ma positivo, così come del resto ha chiarito – nell’unica occasione esistente – la Corte Costituzionale specificando come «il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». All’interno di una tale concezione di laicità, posto peraltro che la laicità come principio e come prassi nasce proprio nell’alveo dell’esperienza cristiana in genere e cattolica in particolare, si inscrive il Patto concordatario.

Al fine di evitare la commistione della sfera temporale e di quella spirituale, come è nel caso dell’islam, o la rigida esclusione di qualunque istanza spirituale tipica dei regimi totalitari novecenteschi di matrice socialista, la prassi giuridica della Chiesa ha sperimentato con successo lo strumento concordatario tramite il quale definire le competenze, i limiti, i ruoli e i rapporti con il potere politico e statale di volta in volta storicamente determinato.

Come ha osservato il professor Carlo Cardia, tramite il concordato «si è data stabilità al rapporto tra Stato e Chiesa, tra cattolicesimo e società civile, indirizzandolo su un cammino idoneo a seguire l’evoluzione dei tempo e dei costumi». Il concordato trova legittimità giuridica nella tutela più generale e fondamentale della libertà. Il professor Giuseppe Dalla Torre ha ricordato come «il concordato può avere la funzione di realizzare un’esperienza più avanzata di democrazia, nella misura in cui esprime la partecipazione della società ecclesiastica alla formazione delle norme di cui essa sarà poi destinataria; così come può servire a raggiungere l’obbiettivo di garantire alla Chiesa, nell’ordinamento statale, un regime giuridico rispettoso della sua identità, senza cadere in ingiustificati privilegi e senza ledere il principio, fondamentale in una democrazia, di eguale libertà di tutte le confessioni religiose».

Il concordato quindi non è violazione del principio di laicità, ma sua manifestazione più genuina, non è intromissione dello Stato nella Chiesa, né ingerenza della Chiesa nello Stato, bensì delimitazione delle sfere, delle competenze, dei ruoli, dei rapporti. È ancora adesso è la soluzione giuridica più adeguata per far sì che Chiesa e Stato siano distinti senza opposizioni, delimitati senza conflitti, liberi senza oppressioni, autonomi senza autoreferenzialità.

Foto Ansa

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