Comune di Milano: senza accordi fra comunità islamiche, meglio le moschee di quartiere

La grande moschea divide le comunità della città. La giunta Pisapia preferirebbe la soluzione "pluralistica", indicata anche dal cardinale Scola: valorizzare i piccoli luoghi di culto esistenti

La grande moschea a Milano non si farà, o, almeno, sarebbe questo l’orientamento della giunta meneghina e del sindaco Giuliano Pisapia. A un mese e mezzo di distanza dall’ultimo colloquio con le comunità islamiche della città, è l’assessore al welfare, Pierfrancesco Majorino, oggi su Repubblica, a riconoscere l’impossibilità di approvare il progetto della moschea unica. «Se non sono uniti (gli islamici milanesi ndr), non resta che pensare a soluzioni singole, più piccole, in diversi quartieri, su aree da mettere a bando e soggetti riconosciuti, come suggerisce anche il cardinale Angelo Scola», ha detto Majorino. L’assessore ha ipotizzato la creazione di bandi appositi per la costruzione di moschee di quartiere.

TROPPE DIVISIONI. Fra le comunità islamiche milanesi (qui si può trovare dettagliato elenco), nessuna divisione è stata ricomposta. Per bocca del suo portavoce, Davide Piccardo, il Caim continua a sostenere la necessità di una sola grande moschea con tanto di minareto, da far sorgere sul suolo pubblico al posto del Palasharp. Dall’altra, le associazioni che non si riconoscono nel Caim, come quella di Via Padova, la comunità sufi di via Meda guidata da Yahya Pallavicini, vorrebbero che il Comune valorizzasse tutte le realtà esistenti, garantendo pluralismo e autorizzando la creazione di piccoli luoghi di culto di quartiere. La terza opzione vagliata dal Comune è la creazione di una moschea o due moschee supervisionate dai governi moderati di Giordania e Marocco. La giunta Pisapia ha anche ipotizzato di creare un luogo di culto temporaneo per Expo 2015, una moschea “usa e getta” vicino al sito dell’esposizione universale.

MOSCHEE DI QUARTIERE. La proposta di valorizzare piccoli spazi esistenti è sostenuta anche dal cardinale Angelo Scola, il quale, settimana scorsa, intervenendo sulla questione “moschea”, aveva invitato Comune e associazioni islamiche a «evitare un approccio frettoloso e a colpi di slogan, che non è di aiuto a nessuno». «Può darsi che in questa fase per il mondo islamico, più moschee in luoghi e quartieri diversi risponda meglio a questa esigenza e sia la premessa un domani per una realtà più consistente». Nei fatti, Scola ha abbracciato la proposta delle comunità islamiche che non si riconoscono nel Caim, già avanzata su tempi.it dall’imam Pallavicini (qui l’intervista). Con un solo luogo di culto, secondo i sostenitori della proposta “piccole moschee di quartiere”, si correrebbe il rischio che si crei un “potentato” di una sola corrente dell’islam, sponsorizzata da alcuni stati stranieri. 

VIA PADOVA E CAIM. Nonostante l’avversione delle altre comunità islamiche al progetto del Palasharp, il Caim non fa passi indietro e preme sul Comune: «Noi siamo i più rappresentativi come numero di soci e abbiamo contatti col Qatar, come anche col Kuwait e con gli Emirati», ha detto oggi Piccardo a Repubblica. «Non c’è un progetto unitario per una grande moschea, nonostante il nostro invito al dialogo alle altre realtà. Però – ha proseguito Piccardo – arrivati a questo punto, la nostra proposta pubblica l’abbiamo fatta e pensiamo sempre che il luogo ideale dove realizzare il progetto sia l’ex Palasharp». Di parere contrario, Asfa Mahmoud, ambrogino d’oro e presidente della Casa di cultura islamica di via Padova. Asfa, sempre su Repubblica, ha osservato che, in ogni caso, essendo quello di via Padova l’unico centro riconosciuto dall’Albo delle Religioni della città, sarebbero i loro rappresentanti, e non quelli del Caim, «gli unici titolati a gestire e coordinare un nuovo luogo di culto in città».

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