Cinque anni fa scompariva don Gianni Baget Bozzo, il mio amico «massimamente mistico»

L'8 maggio ci lasciava il sacerdote che non aveva timore a intervenire vigorosamente nell'agone pubblico. Ma tutto in lui era legato a quell'Origine cui si sentiva profondamente legato

Lo conobbi in un giorno d’aprile del 2003. Lo conobbi nel grande salone del suo appartamento e ufficio di via Corsica, quartiere Carignano di Genova, con vista mozzafiato sul mar ligure. Quel salone che – avrei scoperto dopo – era il punto d’intersezione di tante persone, tanti mondi, tante storie. Le persone, i mondi e le storie più disparate che ruotavano attorno a don Gianni Baget Bozzo. “Coincidentia oppositorum”, avrebbe detto lui, con le braccia raccolte sul petto e lo sguardo fisso sull’orizzonte, ripetendo una delle frasi che gli erano più care – una delle chiavi per comprenderne davvero il pensiero, la figura e l’opera.

Quel giorno, in quel dialogo che durò poche decine di minuti ma che a me parve prolungarsi per molte e lunghe ore, ebbi l’impressione certa che don Gianni mi conoscesse da una vita, che mi avesse repentinamente scrutato dentro, nel profondo dell’anima, là dove neppure io avevo osato fino ad allora avventurarmi. Lui domandava di me ed io rispondevo, o meglio tentavo di rispondere cercando di vincere la timidezza e l’emozione del momento. Parlammo della fede, della Chiesa, di san Tommaso d’Aquino, di Chesterton su cui l’anno prima avevo scritto la tesi di laurea in filosofia, di Nietzsche, del mistero della croce, dell’amore, del dolore, dell’anima spirituale, della salvezza. Io avevo 27 anni, lui 78. Ne nacquero un’amicizia e una fraternità impagabili e impareggiabili, di cui sarò per sempre grato, e una quotidiana collaborazione culturale che durò fino al giorno della sua improvvisa morte, l’8 maggio di cinque anni fa.

Di don Gianni, allora, conoscevo per sommi capi la storia, lo avevo visto diverse volte in tv, ne avevo seguito gli articoli sul Giornale e su Tempi, avevo letto qualche suo libro, come l’Anticristo e il profetico Di fronte all’islam, che gli valse una lettera di apprezzamento da parte del cardinale Ratzinger, che lui incorniciò e appese alla parete della segreteria. Ma quel che più mi colpì, in quel pomeriggio d’aprile, non fu il Baget Bozzo teologo e pensatore e politico e scrittore e polemista, bensì il don Gianni prete e soprattutto il don Gianni allora per me più sconosciuto: il don Gianni mistico.

Così i giorni, i mesi e gli anni a venire furono l’occasione per vedere e per comprendere che era proprio la mistica il centro della sua personalità e della sua esperienza di uomo e di sacerdote. Era la mistica a tenere insieme tutte le altre dimensioni del suo impegno. Era la mistica, infine, a spingerlo così appassionatamente e vigorosamente dentro la politica, come già era accaduto qualche decennio prima per un altro grande cristiano, Charles Péguy.

Gianni, insomma, era mistico non soltanto quando pregava, quando meditava, quando predicava, quando celebrava messa. Non soltanto quando parlava della Chiesa, dei Papi, di Benedetto XVI a cui, poche settimane prima di morire, scrisse una breve ma profondissima lettera di comunione spirituale, proprio mentre l’allora vicario di Cristo era nella bufera per la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani. Era mistico non soltanto quando parlava di storia, di cristianità, di Occidente. Egli era mistico anche quando faceva e parlava e scriveva di politica, di Italia, di Craxi, di Berlusconi. E soprattutto era mistico, massimamente mistico, quando spiegava le ragioni delle sue battaglie contro l’unità partitica dei cattolici e contro la saldatura tra post Concilio, centrosinistra e secolarizzazione, radice di una profonda crisi di civiltà e di fede che Gianni intuì e vide forse per primo nel nostro paese. A tali battaglie, del resto, si era sentito chiamato da Dio, dalla Voce con cui ebbe per diverso tempo locuzioni. Per questo vi mise in gioco tutto se stesso.

Perché per Gianni la mistica era fondamentalmente esperienza. Esperienza di Dio in quanto esperienza dell’essere. Esperienza del mistero dell’essere che genera conoscenza di sé, scoperta di sé come relazione con l’Origine e come rapporto con la Tradizione attraverso cui tale Origine si trasmette all’uomo. La conoscenza mistica, l’esperienza del mistero divino che si comunica all’anima, era per lui l’antidoto più efficace sia contro ogni tipo di riduzionismo sia contro ogni assolutismo intellettuale, sociale e politico.

La mistica genera libertà in ogni campo. E Gianni fu un uomo libero perché mistico legato fino in fondo all’Origine, dell’Origine amante fedele fino all’ultimo giorno.

Exit mobile version