La centralità di Meloni in Europa e quella del guitto a Sanremo

Una storia Instagram di Fedez a supporto della moglie Chiara Ferragni durante la prima serata del Festival di Sanremo

Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Macron è un presidente francese dimidiato, con una nazione spaccata per il conflitto sociale. Un conflitto che assume il profilo delle tipiche forme della mobilitazione collettiva solo apparentemente corporativa, ma in verità  pluriclassista, ossia che unisce lavoro dipendente salariato e lavoro dipendente stipendiato (ceti operai e ceti medi declassati), da un lato, e, dall’altro, il popolo degli abissi e dei penultimi, ossia lumpenproletariat e lavoratori autonomi con giubbotti gialli pronti a tutto».

Non è facile spiegare a tante persone disabituate al pensiero critico ed educate dalla vociante semplificazione dei nostri tempi, come le un po’ isteriche mosse di Emmanuel Macron nei confronti dell’Italia derivino non dall’emarginazione di Giorgia Meloni ma da una sua pur relativa centralità. Suvvia cari amici un po’ troppo superficiali, un piccolo sforzo e anche voi potrete capire come la realtà sia complessa ma che tutto sommato non è impossibile leggerla.

***

Su Dagospia si riprende un articolo di Tonia Mastrobuoni sulla Repubblica: «La convergenza tra Germania e Francia somiglia più a un matrimonio di interesse che a una ritrovata unità. E maschera enormi diffidenze emerse in autunno che avevano causato persino l’annullamento del tradizionale incontro interministeriale. La Germania cerca la sponda francese perché il suo isolamento in Europa aumenta, come dimostrano due lettere “ostili”, partite alla vigilia del Consiglio all’indirizzo di Bruxelles da due tradizionali alleati strettissimi come i Paesi Bassi e l’Austria. Nel primo caso, la missiva demolisce l’ambizione franco-tedesca di un allentamento degli aiuti di Stato; nel secondo chiede una linea durissima sull’immigrazione […] Berlino è in difficoltà anche per il ruolo sempre più prepotente in Europa occupato dall’inizio dell’invasione russa dalla Polonia – iper aggressiva con Berlino – e dai Paesi baltici, insomma dagli alleati europei più fedeli di Kiev. Un accerchiamento dal quale il cancelliere sta tentando di uscire aggrappandosi a Macron».

Ecco un’altra serie di considerazioni di una giornalista supereuropeista che consiglio agli ultrasemplicistci sostenitori dell’isolamento di Giorgia Meloni in Europa.

***

Su Formiche Francesco De Palo scrive: «Del temuto spostamento a destra di Roma si vede poco, scrive Mattia Rub sulla Faz, piuttosto “Giorgia Meloni si muove sulla strada che ha intrapreso anche il suo predecessore Mario Draghi”. L’autorevole quotidiano tedesco rileva che il premier italiano è attualmente il leader politico più popolare in Europa con un indice di gradimento tra il 46 e il 49 per cento. A seguire l’irlandese Leo Varadkar e lo spagnolo Pedro Sanchez. Il cancelliere Olaf  Scholz e il presidente francese Emmanule Macron sono distanti 15 punti dal leader italiano. Numeri che, forse, dicono qualcosa in più rispetto ad alcuni atteggiamenti poco lineari e coesi che si sono visti nei giorni scorsi, tra il viaggio in Usa dei soli ministri di Parigi e Berlino e la cena ad escludendum organizzata da Macron con Zelensky e Scholz, nelle stesse ore in cui entrava in vigore il Trattato del Quirinale, con alcune analisi che fanno risalire la paternità di questo sgarbo con le prossime elezioni europee e il dialogo Weber-Meloni (poco gradito a Macron)».

Ai cultori del pensiero semplicistico-unico, suggeriamo di dare anche un’occhiatina a quel giornaletto melonian-propagandistico che è la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

***

Su Startmag Francesco Damato scrive: «Il problema posto, volente o nolente, dal buon Mattarella correndo con la figlia a Sanremo non è stato di natura soltanto o prevalentemente politica, con la solita contrapposizione –ripeto – di destra e sinistra, di governo e opposizione. È stato di natura prevalentemente culturale o di costume. Di natura addirittura “pedagogica”, com’è scappato di scrivere al quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda e ai suoi imitatori. Il Quirinale ha riproposto un rapporto che appassionò a suo tempo un autore molto caro al nostro presidente della Repubblica. Il quale citò una volta Alessandro Manzoni, in una sortita istituzionale, per esortare a non confondere il buon senso col senso comune, cioè col conformismo. Che questa volta invece è prevalso, anche troppo. E non ha fatto salire ma scendere la politica lungo i gradini dell’Ariston, con effetti – temo – non abbastanza meditati dal capo dello Stato, senza per questo volergli mancare di rispetto come hanno fatto invece altri critici nelle cui osservazioni mi sono parzialmente e sorprendentemente ritrovato, a cominciare da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano di venerdì».

Vi è una tendenza di lunga durata nella storia dell’Italia unificata che si esprime, in una parte rilevante delle classi dirigenti, nel difendere un potere, spesso poco trasparente, non contendibile dalla politica con un’annessa subalternità di fondo a sistemi di influenza internazionale: dal non expedit al sabotaggio di Giovanni Giolitti, dall’isolamento di Filippo Turati dopo il 1918 al fascismo e poi alla democrazia necessariamente bloccata dalla Guerra fredda, e ancora a un certo compiacimento di settori delle classi dirigenti per lo sbandamento della società italiana tra il 1969 al 1977 fino all’azione politicamente unilaterale di settori della magistratura nel 1992, seguita dal commissariamento della democrazia italiana dopo il 2011. Questa tendenza a svuotare parzialmente o totalmente la democrazia oggi si esprime con l’ultima mossa disgregatrice: “la centralità del guitto” (da Beppe Grillo a Rocco Casalino, da Roberto Benigni al duo Chiara Ferragni-Fedez) tesa a impedire l’affermarsi di una politica razionale e legittimata dal voto. La gestione del Festival di Sanremo ha questo senso politico e chi l’approva non può lamentarsi poi se la disgregazione seminata provoca astensione elettorale.

Exit mobile version