Bordin: Sul Colle un caos preoccupante, ma Ingroia ha in mano paccottiglia riciclata

“L’operazione di Panorama è stata giornalisticamente abile”. Massimo Bordin, storico ex direttore di Radio Radicale ed esperto di cronaca giudiziaria, si leva il cappello di fronte al polverone sollevato dall’articolo del settimanale sul presunto contenuto presente nelle intercettazioni del Capo dello stato. “Si possono dire un mucchio di cose su questa faccenda, ma secondo me poco si presta ad un dibattito su quali siano le fonti”.

Cominciamo proprio da qui allora.
C’è un fatto sicuro. Per stessa ammissione del giornalista, il pezzo in questione si riferisce ad un audio di telefonate non trascritte. Se manca il testo, gli avvocati difensori non possono conoscerne il contenuto. Per cui gli spifferi possono essere arrivati da Nicola Mancino, da Giorgio Napolitano o da qualcuno della procura. E mi sentirei di escludere le prime due ipotesi.

Sempre che le fonti di Panorama siano attendibili.
Quella di Panorama è un’abile ricostruzione tra uno scenario probabile, ricostruito attraverso ipotesi fatte da altri quotidiani, e la realtà emersa dall’indagine stato-mafia.

Se non ci fosse la controprova, a che pro far uscire una notizia del genere?
Oggi il presidente della Repubblica regge le sorti del governo. Attaccare lui significa attaccare l’esecutivo. Senza contare che avrà un ruolo non marginale nella formazione del prossimo.

Ma Panorama non è di certo vicino al Fatto, che ha lanciato il filone.
Alcuni temi del dibattito pubblico sono diventati ormai comuni tra una certa stampa di sinistra e alcuni a destra. Si pensi a tante prime pagine comuni tra Fatto e Libero. Poi senza dubbio è il quotidiano di Padellaro ad aver scoperchiato il vaso. Insieme alla procura di Palermo.

C’è la certezza di un ruolo dei pm, dunque?
Noto che nel suo famoso editoriale Marco Travaglio affermò che in mano ai magistrati c’era l’audio di due telefonate che avevano come interlocutore Napolitano. Nasce tutto da quell’articolo. Come può aver avuto questa informazione?

Lo stesso procuratore capo afferma che la fonte non può essere la procura “perché la notizia la pubblica Panorama”. Come dire che passano le notizie ad altri.
Mi limito ad osservare che le parole di Francesco Messineo [il 30 sul Fatto, poi ribadite il giorno seguente in un’intervista al Corriere della Sera n.d.r.] sono infelici. Anche perché, se hai una procura politicamente schierata che fai? Non ti poni il problema?

Una procura nella quale Antonio Ingroia fa la parte del leone.
Ma la sua è un’indagine giudiziariamente debole, che ha utilizzato materiale riciclato. Un’indagine fragile che ha acquisito forza mediatica grazie alle famose due telefonate.

Si concluderà in una bolla di sapone?
Forse. Ma supponiamo che il Gip di Palermo che deve decidere dica ad Ingroia che il suo materiale non è sufficiente per aprire il processo. Se dice che quella in mano alla procura è paccottiglia riciclata, come personalmente ritengo, verrebbe linciata. Senza contare che è di Magistratura Democratica.

Ma supponiamo lo faccia. Forse è per questo che Ingroia si trasferisce in Guatemala?
Quello è un capolavoro comico, una cosa da pazzi. Ma si pensi anche che sulla possibile candidatura alle regionali in Sicilia ha detto che “allo stato attuale delle cose non mi candido”. Come a dire che se cambiano potrebbe farlo. E il Guatemala? Siamo di fronte ad un personaggio molto imprevedibile.

Che potrebbe vedersi sfuggire di mano l’operazione?
È un’ipotesi probabile più che possibile. Siamo in presenza di una storia molto debole, rilanciata da qualcuno per fare casino mediatico. Ma poi si salda con interessi che si legano ad altri interessi. È probabile che sia già sfuggita di mano.

Alla base di tutto ancora una volta le intercettazioni.
Un loop da cui non si uscirà più. E il problema è politico ancor prima che giudiziario, perché le nuove tecnologie influiscono sulla democrazia e sulla sua trasparenza. Basta pensare all’operazione Wikileaks. Se non sganciamo questo dibattito dagli aspetti meramente legalistici non ne veniamo fuori.

Sono anni che condiziona la vita politica italiana.
E anche Napolitano è caduto nella trappola. È il circuito mediatico-giudiziario a rendere normale tutto questo. Se dieci anni fa un magistrato avesse detto di avere intercettazioni che riguardavano il Quirinale, sarebbe stato preso a calci nel didietro e mandato a casa. Oggi nessuno, sulla faccenda in sé, fa una piega. Il Colle, nella sua natura, ha il compito di ascoltare gli attori politici e sociali, non quello di intervenire. Che oggi questa sua funzione sia oggetto della bulimia della trasparenza è imbarazzante.

@PietroSalvatori

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