Attaccano sempre la Meloni

Giorgia Meloni alla Conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, Milano, 30 aprile 2022

Caro direttore, ho assistito alla trasmissione “Di Martedì” su La7 e ho letto oggi quanto alcuni personaggi della politica e della cultura, presuntuosamente, hanno detto in ordine a quanto Giorgia Meloni ebbe ad esprimere in Spagna circa la famiglia naturale. Devo dire che mi ha impressionato e infastidito la “sicumera” con cui detti personaggi hanno ritenuto di oltraggiare, con presuntuosa superiorità, le idee di una persona che, come tutti, ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero.

Si è accusata la Meloni di tratteggiare una società cupa, di cancellare le differenze, di negare i diritti e si allontanarsi dall’Europa, ritornando ad un medioevo passato da un pezzo (Boldrini); di esprimere un discorso intriso di odio, nuovo complottismo e vecchia retorica novecentesca recente (così sui social Pd); un feroce insulto alla Meloni definita una “buffona”, e se bisogna ridere ridiamo della Meloni che è più buffona di Salvini, una vena buffona (Ginevra Bompiani); il definire il discorso sulla famiglia naturale una propaganda di stampo assolutamente assassino che fa molta paura e tanta tristezza (Rosi Braidotti); l’inchinarsi di molti di fronte ai dettami della gerarchia della Chiesa (Corona, a Cartabianca).

Si può condividere o meno quanto detto dalla Meloni, ma questi giudizi sono assolutamente offensivi e fuori dalla realtà: in quest’ottica va ricordato che chi offende non ha mai ragione, e che essere “buffoni” sono coloro che non hanno argomenti validi se non l’insulto, a favore di una modernità fasulla e preoccupante.

Dire cosa si pensa fa parte del diritto di ciascuna persona, e parlare di famiglia naturale non è un “assassinio”, bensì il guardare la realtà nella sua vera dinamica: quella realtà che evidenzia la differenza sostanziale e non mutabile tra un uomo e una donna, e i diritti, in vari modi negati, di ciascun bambino ad avere un papà e una mamma. In quanto all’Europa si può dissentire su quanto decide in proposito.

L’idea di famiglia naturale, non fittizia, e una consapevolezza antropologica dal punto di vista morfologico, fisiologico e psicologico, un concetto di famiglia universalmente riconosciuto e che ora si fa di tutto per distruggerlo. Non è soggiogarsi alle tonache dei preti, bensì avere una idea di famiglia universalmente riconosciuta. E che oggi si fa di tutto per annientarla.

Infine il giovane Sartori che discetta su questa presunta attenzione sociale della Meloni, definendola un rigurgito del fascismo che fu. E qui casca l’asino: il termine “fascismo” evidenzia una concezione della vita politica e dei rapporti umani e sociali basata sull’uso indiscriminate della sopraffazione.

Forse questa definizione del termine fascismo non si accoppia – pur con nome diverso – alla sopraffazione delle idee altrui con mezzi, con parole con atti fortemente discriminatori? Non è sopraffazione l’uso dell’insulto per vietare che ognuno possa liberamente avere un concezione di famiglia sotteso da una diversità ideale e culturale sentita nel contesto generale della comunità nazionale? Non è questo un fascismo altrettanto inaccettabile?

Giancarlo Tettamanti

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Caro direttore, l’altro giorno, uscendo dalla S. Messa, ho incontrato un amico che non vedevo da tempo, il quale si lamentava del fatto che ancora troppo pochi fedeli sono ritornati a partecipare con continuità al fondamentale gesto eucaristico. Ed in effetti la constatazione è vera. Ed allora penso che dovremmo spronarci tutti vicendevolmente a tornare in Chiesa, anche perché non vi sono più motivi “pandemici” per non farlo. Persino la mascherina in Chiesa non è più obbligatoria, come non è più obbligatorio disinfettarsi le mani e come è caduto il divieto di un normale scambio della pace. Diciamoci, dunque, che non vi è più alcun obbligo legale (anche se è ancora in carica il maniacale ministro della Salute) che ci possa tenere lontani dalla Messa o che possa rendere difficoltosa la partecipazione. Torniamo in chiesa, dunque! Confido che i pastori, i parroci, i preti e tutti i fedeli laici siano un po’ meno timidi nell’annunciare ai fedeli che tutto ciò è possibile, educandoli anche ad avere un po’ meno “paura”. Per primi i sacerdoti celebranti potrebbero togliersi la mascherina ed invitare i fedeli ad uno scambio della pace un po’ più “carnale”. Non sono uno statistico e penso che sia difficile calcolare quanti fedeli in meno frequentino la S. Messa a seguito delle misure anticovid, ma penso che sia evidente che un calo ci sia stato (e il demonio ne sarà contento). È giunta l’ora di porre rimedio a questa situazione con i gesti, con le parole e con l’educazione.

Oltre che a motivi legislativi e giuridici, vi sono ben altri motivi per rilanciare l’invito a partecipare fisicamente alla Messa, distogliendo non poche persone dall’idea (illuminista) che essa possa essere validamente sostituita dalla messa ascoltata in Tv. Questa situazione ha creato una pigrizia di comportamento, che, probabilmente, nasce da una non chiarezza “ontologica” che il cristianesimo, a differenza di tutte le altre religioni, annuncia che Dio si è fatto carne ed è venuto carnalmente, con Gesù, tra di noi. La partecipazione fisica al rinnovarsi della presenza materiale di Cristo tra di noi non è, quindi, un optional, ma fa parte integrante ed imprescindibile del metodo con cui ci rapportiamo a Cristo nella Sua Chiesa e attraverso la Sua Chiesa. La quale Chiesa, al contrario di ciò che pensano i laicisti, ci propone pochissimi obblighi ma, tra questi, vi è quello di partecipare alla S. Messa ogni domenica, in memoria della morte e resurrezione di Cristo. Ho l’impressione che il dopo Covid obblighi tutta la Chiesa, in tutte le sue componenti, a rilanciare la tematica dell’incarnazione, come elemento fondamentale della vita cristiana, in modo da motivare non solo pietisticamente le ragioni che rendono necessario trovarsi insieme per partecipare al più rivoluzionario dei gesti cristiani. L’appello a ritornare fisicamente alla S. Messa non deve essere dettato da una preoccupazione numerica, ma dall’urgenza di annunciare nuovamente l’aspetto essenziale della fede cattolica, che sta nell’incarnazione, con tutto ciò che ne consegue. Nel racconto del Manzoni, l’Innominato si converte guardando, dall’alto del suo malefico castello, il popolo di Dio che si reca alla S. Messa ad ascoltare la testimonianza del loro pastore ed a partecipare al Santo Sacrificio: ha visto un popolo che si metteva insieme per vivere il Mistero di Cristo. Dobbiamo avere il coraggio di ridire tutto ciò a questo popolo, invitandolo a tornare in fretta nella casa di Santa Madre Chiesa. Non c’è più l’alibi della pandemia.

Peppino Zola

Foto Ansa

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