Aron, la neonata eritrea che a un mese di vita ha già scampato la morte. Tre volte

La traversata del Mediterraneo sul barcone a soli 8 giorni dalla nascita, poi l'ittero e infine la malformazione cardiaca. Intervista al medico che l'ha curata: «Il suo attaccamento alla vita è commovente»

È sopravvissuta a un parto prematuro, a un viaggio in un barcone stipato di gente nel Mediterraneo, e poi a due malattie. Oggi Aron, piccola eritrea sbarcata in Sicilia con la mamma Fanus, 24 anni, lo scorso 4 maggio guarda alla vita con la serenità di una neonata qualsiasi. Ma a nemmeno un mese di età ha mostrato una capacità di lottare fuori dal comune. Aron è una delle migliaia di migranti che da mesi continuano ad arrivare dalla Libia, ed è salva grazie a un cordone di solidarietà che ha subito abbracciato lei e sua madre Fanus, fin dal momento in cui sono state salvate. Una catena di aiuti non solo tra i medici, ma anche nelle comunità siciliane che l’hanno accolta, in particolare la città di Ragusa e il piccolo centro di Giardini Naxos (Me). Un ruolo speciale nella sua vicenda lo ha avuto Giovanni Giaccone, primario dell’unità di terapia intensiva neonatale (Utin) dell’Ospedale civile M.P. Arezzo di Ragusa, che ha prestato le prime cure alla bambina, poi l’ha inviata in un centro specialistico per un intervento e adesso l’ha riaccolta. «Ora la bimba sta molto meglio e presto la dimetteremo» racconta a tempi.it il Giaccone, che minimizza: «Non abbiamo fatto niente di speciale. Qui all’Utin di Ragusa è da molto tempo ormai che siamo al fronte in prima linea, perché a Pozzallo, paese sulla costa qui vicino, gli sbarchi dei migranti sono continui».

Dottor Giaccone, qual è la storia di Aron?
Aron è di origine eritrea, è nata il 26 aprile, in base alle poche informazioni che ci ha fornito la madre nella sua lingua e a quelle che abbiamo ricavato noi medici visitando la bimba. Aron e Fanus sono arrivate il 4 maggio in Sicilia, quando la neonata aveva circa 8 giorni: la bambina è nata prematura, si stima dopo 34 settimane di gestazione. Il parto è avvenuto in Libia e mamma e figlia si sono imbarcate subito dopo. Avevano pagato circa 2 mila dollari, come le altre centinaia di persone che affollavano il barcone su cui hanno viaggiato. Fanus è scappata da una regione tra Eritrea e Somalia, vittima dell’occupazione militare e delle guerre. Il marito è rimasto lì. Fanus spera che riesca a raggiungerle.

In che condizioni di salute è arrivata Aron?
Quando è stata inviata qui da Pozzallo era molto disidrata e aveva l’ittero a uno stadio molto grave, tale da essere tossico per il sistema nervoso centrale (può portare a paresi spastiche). In condizioni disperate siamo intervenuti tempestivamente qui all’Utin con un’exsanguinotrasfusione. Le abbiamo tolto una quota di sangue infetto, circa il 90 per cento, sostiuendola con sangue sano. Dopo l’intervento la bambina ha ricominciato a mangiare, ma con gli accertamenti abbiamo scoperto che aveva una malformazione cardiaca: mancata chiusura del dotto di Botallo. Stava molto male, aveva bisogno di ossigeno e respirava a fatica.

Cosa avete fatto a quel punto?
Abbiamo subito contattato il Centro cardiochirurgico del Mediterraneo, a Taormina. Lì Aron è stata operata ed è stata tenuta qualche giorno sotto osservazione. Poi è stata riportata qui. Oggi è guarita e tra qualche giorno la dimetteremo. Abbiamo vissuto un’esperienza clinica straordinaria insieme ai colleghi di Taormina. Come uomo e come medico sono felice perché quello di Aron è un evento in cui abbiamo potuto dare qualcosa di noi.

Cosa è successo alla mamma nel frattempo?
Fanus è ovviamente spaesata, non parla una parola d’italiano e non ha nessuno qui. Ma è una splendida donna, molto presente. È sempre rimasta con Aron. La allatta lei. Ed è stata subito accolta, sia a Ragusa che a Taormina. Quando la figlia è stata trasferita là per l’intervento, la mamma l’ha seguita, è stata ospitata da una comunità di suore francescane. Le mamme volontarie dell’associazione A.Ge andavano a prenderla e l’accompagnavano all’ospedale ogni giorno. Anche qui Fanus è stata aiutata, ricevendo in dono da diverse famiglie abiti per bambini dismessi. Io sono stato più volte in Africa, in Congo, e sono contento di poter aiutare le persone che stanno arrivando qui.

Fanus vi ha raccontato il loro viaggio prima di imbarcarsi dalla Libia?
Fanus ha camminato nel deserto per venti giorni, con il pancione. Poi si è fermata in Libia per qualche tempo. Non ha aggiunto altro, perché noi riusciamo a parlare con lei solo quando è presente un interprete eritreo, e questo è un ospedale di frontiera: il tempo per fermarsi a parlare è davvero pochissimo.

Ora cosa accadrà a Fanus e Aron?
Succederanno due cose. Anzitutto la mamma inizierà a imparare un po’ la lingua, per organizzare il suo percorso in Europa. Dopo, è possibile che mamma e figlia andranno verso il Centro o il Nord Europa. Fanus non ci ha detto dove vuole andare: per adesso, visto che è in Italia e ha urgenza di cure, dice che vuole chiedere asilo. Qui c’è una piccola comunità eritrea, ma è raro che chi sbarca si fermi qui.

Nel vostro reparto è ricoverata anche Francesca Marina, la bimba nata su una nave della Marina italiana subito dopo il salvataggio della madre da un altro barcone?
Sì, anche Francesca Marina è qui da noi, da quando bimba e madre sono sbarcate in Sicilia. La mamma ha 20 anni ed è nigeriana. La bambina subito dopo la nascita ha avuto delle convulsioni, ma ora con le cure adeguate sta superando il problema. La madre ci dice sempre che vorrebbe cambiarle il nome in Francesca Miracolo, perché è davvero un miracolo il suo attaccamento alla vita. Come quello di Aron e di tutte queste persone che arrivano qui, che ci commuove.

Foto Ansa

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