L’appello dello Stato islamico per colpire «gli infedeli» in Europa

In un messaggio il gruppo terroristico ha invitato i propri seguaci ad approfittare della guerra in Ucraina per attaccare i «crociati che si combattono tra loro».

Un fermo immagine tratto da un video della polizia di Bari che documeta l’arresto, lo scorso 14 marzo, di quattro persone sospettate di finanziare attività terroristiche in Albania (foto Ansa)

La conclusione del processo El Shafee Elsheikh, membro dei famigerati “Beatles” dello Stato islamico, avvenuta lo scorso 14 aprile in tribunale degli Stati Uniti e le “scuse” di Salah Abdeslam, unico terrorista sopravvissuto del commando autore degli attentati di Parigi hanno per qualche giorno illuso l’opinione pubblica occidentale di essersi gettata alle spalle la scia di sangue che dal 2014 al 2020 ha colpito senza soluzione di continuità le città della tranquilla Europa.

«Armatevi di armi e fate nuovi attacchi»

Nonostante la scomparsa della sua dimensione territoriale e due leader uccisi, lo Stato islamico è ancora in vita. Il giorno di Pasqua, data non casuale, il portavoce del gruppo Abu Omar al Muhajjir ha inviato un raro messaggio audio ai suoi sostenitori intitolato «Combattili e Dio lo farà, castigali per mano tua», ordinando la ripresa degli attacchi in Europa, sfruttando le «opportunità disponibili» dei «crociati che si combattono tra loro». Il riferimento è alla guerra in Ucraina che ha portato a un pericoloso confronto la Russia di Vladimir Putin, gli Stati Uniti e i paesi europei sostenitori del governo di Kiev.

Tramite il suo portavoce, il famigerato gruppo terroristico ha promesso “vendetta” per l’uccisione del suo ex leader Abu Ibrahim al Qurashi il 3 febbraio scorso, invitando i sostenitori a sfruttare la guerra in Ucraina per organizzare attacchi in Europa: «Annunciamo, affidandoci a Dio, una benedetta battaglia per i due sceicchi Abu Ibrahim al Hashimi al Qurayshi e al Muhajir abu Hamza al Qurayshi». Nel messaggio il portavoce dello Stato islamico ha elogiato gli autori dei due attacchi terroristici rivendicati dal gruppo avvenuti lo scorso marzo in Israele ordinando ai suoi sostenitori: «Seguite la loro strada, armatevi di armi e fate nuovi attacchi. Questi atti hanno causato dolore agli ebrei e hanno mostrato al mondo che c’è una differenza tra coloro che combattono e muoiono per Dio quelli che combattono per slogan politici vuoti».

La congiuntura favorevole allo Stato islamico

L’appello lanciato dal portavoce dello Stato islamico giunge in un momento di “congiuntura” positiva per il gruppo terroristico. Molti i fattori che stanno favorendo la tenuta e in molti la riorganizzazione di Daesh (acronimo in arabo con cui è noto il gruppo fondato da Abu Bakr al Baghdadi): il ritorno dell’Afghanistan in mano ai talebani; un ritiro ormai evidente degli Stati Uniti e in generale dei paesi occidentale da regioni al centro di attività terroristiche, come il Sahel; la persistente crisi in Libia; le divisioni politiche in Iraq che impediscono la formazione del governo dal 10 ottobre 2021; la crisi economica in Libano e in altri Paesi della regione; la guerra in Ucraina che ha drenato risorse alla lotta al terrorismo globale per affrontare la Russia di Putin.

Sul piano pratico, lo Stato islamico del 2022 non è più quello dell’inizio della seconda decade degli anni Duemila. Come sottolinea il rapporto ReaCT 2022 dell’Osservatorio sul terrorismo e il contrasto al terrorismo, il gruppo ha patito dopo la sua sconfitta territoriale la perdita di risorse finanziarie e reclute, fattori che hanno ridotto notevolmente le sue capacità operative. Tuttavia, come afferma il rapporto «la minaccia comunque rimane significativa ed è dovuta alla disponibilità e alle azioni di lone actors e selfstarters senza un legame diretto con l’organizzazione ma mobilitati da narrative jihadiste globali». L’appello di Al Muhajjir andrebbe quindi in questa direzione, sfruttando inoltre l’attenzione delle agenzie di sicurezza e di intelligence occidentali sulle mosse di Mosca e Pechino.

Un nuovo impulso dal ritorno dei talebani

Il rapporto ReaCT 2022, sottolinea l’alta percentuale di eventi emulativi nel 2021, circa il 56 per cento degli eventi terroristici registrati in Europa, secondo il database di START InSight, con un trend in aumento. Per quanto riguarda il numero assoluto degli eventi legati al terrorismo, quelli di matrice jihadista risultano relativamente marginali nel 2021, 18 eventi pari al 26 per cento degli eventi registrati in Europa nel 2021. Tuttavia, le azioni di matrice islamista rimangono i più rilevanti sul piano delle conseguenze e del numero di vittime. Il rapporto ReaCT 2022, osserva inoltre il nuovo impulso dato al jihadismo internazionale dal ritorno dei talebani al potere in Afghanistan nell’agosto del 2021 come supremazia dell’Islam sull’Occidente e sui suoi “valori corrotti”.

Nell’approfondimento dal titolo Dall’Afghanistan, alla Siria, al Sahel: il virus di un “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” (NIT), inserito nel rapporto, Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight, osserva che nonostante la riduzione del suo potere territoriale e finanziario l’appeal dello Stato islamico “è ancora forte e utilizzerà il successo afghano come un ‘chiaro esempio’ destinato a trasformare migliaia di individui radicalizzati in ‘armi di prossimità’ intelligenti e pronte a ‘uccidere e morire’ in nome del Califfato.

Lo Stato islamico non è affatto sconfitto

Lo Stato islamico è dunque molto lontano dall’essere sconfitto e l’appello a colpire l’Europa potrebbe mostrare una ritrovata forza del movimento a livello internazionale. Come avvenuto per l’avanzata delle cosiddette “bandiere nere” a cavallo tra il 2013 e il 2014, è necessario guardare alla Siria per comprendere la pericolosità dello Stato islamico. Dall’inizio di aprile l’organizzazione ha  intensificato i suoi attacchi contro le forze governative siriane e le milizie alleate nell’area desertica siriana nota come Badiya. Come sottolinea il portale Al Monitor, i recenti attacchi non hanno precedenti e hanno preso di mira caserme militari,  giacimenti petroliferi ed “enormi convogli militari siriani”.

Nelle loro azioni, i miliziani dello Stato islamico hanno utilizzato varie armi, inclusi missili a medio e corto raggio, mostrando quindi la disponibilità di un arsenale di armi diversificato e nuove tattiche che hanno confuso le forze governative e inflitto pesanti perdite tra i suoi ranghi. L’attacco più recente condotto dallo Stato islamico contro le forze del governo di Damasco risale al 13 aprile e ha preso di mira posizioni militari delle forze governative e delle milizie iraniane alleate nel deserto di Homs. In precedenza, l’organizzazione ha lanciato attacchi contro le forze governative nelle  province di Deir ez-Zor, Raqqa e Homs.

Un nuovo flusso di risorse nelle mani dell’Isis

I giacimenti petroliferi presi di mira ad aprile includono quello di al Kharata  nel sud-ovest della provincia di Deir ez-Zor. Secondo gli analisti, i nuovi attacchi lanciati in Siria che l’eventuale preparazione di azioni in Europa, confermano un nuovo flusso di risorse nelle mani dell’organizzazione, forse provenienti dal ramo afghano Isis-Khorasan – che potrebbe aver beneficiato del caos seguito al ritiro delle forze Nato per impadronirsi di armi pesanti in dotazione alle Forze armate afghane. Inoltre, lo Stato islamico avrebbe beneficiato del ritorno nei propri ranghi di esponenti di primo piano evasi all’inizio del 2022 dalla prigione di Ghweiran, nel governatorato di Al Hasakah, nell’est della Siria.

L’appello a colpire l’Europa giunge a poco più di un mese dalla nomina del nuovo emiro dello Stato islamico, Abu Hasan al Hashemi al Qurayshi, avvenuta il 10 marzo scorso a seguito della morte di Abu Ibrahim al Hashimi al Qurayshi, ucciso il 3 febbraio in raid condotto dalle forze speciali Usa nel villaggio di Atmeh, nella Siria nordoccidentale. Poco si sa del nuovo leader, che è il terzo leader del gruppo jihadista dopo la morte del suo fondatore nell’ottobre del 2019 sempre in Siria. Dal 2015 al 2020, sono stati ben 122 gli attacchi di matrice jihadista in Europa. Il più alto numero di vittime è stato registrato nel triennio 2015-2017, culmine della parabola dello Stato islamico, con ben 347 morti in 63 attacchi condotti in vari paesi europei.

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