Apocalisse climatica? Mo’ me lo segno

Punto di non ritorno, catastrofe, codice rosso. I toni della stampa per presentare il rapporto Ipcc sul clima sono, more solito, allarmistici. Però, chissà perché, si dimenticano di dire sempre due cose. Ecco quali

Manifestazione per il clima, Olanda, giugno 2021

«Inondazioni improvvise e violentissime, incendi devastanti, ondate di calore. E, ancora, ghiacci che si sciolgono in Artico, mari che si innalzano travolgendo le coste, oceani sempre più acidi. Gli scienziati dell’Ipcc hanno pubblicato ieri il Sesto rapporto sui cambiamenti climatici». Il tono usato ieri dai quotidiani – il virgolettato riportato è del Corriere – per presentare il report Onu sul clima era questo.

«Codice rosso», conseguenze «inevitabili», «incontrovertibili» e «irreversibili», scenari «apocalittici» e via di seguito. Il tutto condito con immagini di disastri: alluvioni, inondazioni, incendi, catastrofi naturali. Il messaggio era uno solo: «”Riduzioni immediate, rapide e su larga scala” delle emissioni climalteranti, di cui fino ad oggi non c’è alcun segno».

Siamo già morti

«Siamo al punto di non ritorno», ha scritto la Stampa che dal Rapporto Ipcc ha desunto le imminenti catastrofi ambientali: «L’Artico che conosciamo non ci sarà più, l’Antartide occidentale si scioglierà. Entro il 2050, nel mese di settembre, è probabile che almeno una volta la regione che circonda il Polo Nord sarà completamente senza ghiaccio marino». E questo accadrà «indipendentemente dal livello di riduzione della CO2 prodotta, perfino se la azzeriamo». Insomma, non stiamo morendo: siamo già morti.

La parola “Cina” è impronunciabile?

I fatti curiosi nella comunicazione dell’apocalisse prossima ventura sono due. Il primo è che nel descrivere l’armageddon verde nessuno si preoccupi di indicare chi è oggi il principale responsabile della produzione di CO2 nel mondo. Lo sappiamo, ma non lo diciamo, perché? La parola «Cina» è impronunciabile? Che c’è, una moratoria?

Ieri su Stampa, Repubblica e Corriere – i tre giornali che con maggior enfasi hanno lanciato l’allarme “Sos Terra” – non è mai comparsa in pagina. Eccezion fatta per un breve commento sul Corsera dove si faceva notare quel che tutti sanno: se Cina e paesi asiatici non la smettono di inquinare, gli sforzi europei, e occidentali in generale, saranno inutili se non controproducenti da un punto di vista economico (La via tortuosa del taglio delle emissioni”, Danilo Taino).

Gas serra cinesi

I dati dell’inquinamento asiatico li ricordava ieri Libero: «Risulta infatti che la Cina nel 2019 abbia emesso più gas serra di tutti gli altri 37 Paesi sviluppati messi assieme. Il 27% dell’inquinamento da gas serra mondiale è prodotto dalla Cina, molto distante è la prima economia mondiale, Stati Uniti, con l’11%. Mentre negli ultimi 30 anni le emissioni in tutti i Paesi Occidentali (con l’esclusione del Canada) sono diminuite, in Cina sono addirittura triplicate. Nel 2019 per la prima volta l’India ha superato gli Stati membri della Ue al terzo posto arrivando al 6,6% delle emissioni mondiali. In generale tutta l’Asia dove la maggior parte dell’energia continua a essere prodotta dal carbone è un disastro. Il presidente Xi Jinping ha recentemente annunciato che la Cina diventerà Paese a zero emissioni nette di Co2 entro il 2060, ma intanto nei primi tre mesi di quest’anno la produzione di carbone è aumentata del 16% mentre nell’anno della pandemia è stato sfiorato il record assoluto con 3,84 miliardi di tonnellate estratte».

Il libro di Koonin

C’è poi un secondo aspetto da rilevare. Quante volte l’Ipcc ha annunciato l’imminente cataclisma? Bè, diverse volte. Eppure lo stesso ente ha sostenuto anche il contrario. Lo ha spiegato a Tempi Steven Koonin, fisico, membro della National Academy of Sciences, professore della New York University dove ha fondato e dirige il Center for Urban Science and Progress, soprattutto ex sottosegretario per la Scienza al dipartimento dell’Energia dell’amministrazione Obama.

Koonin ha scritto un libro, Unsettled, nel quale riporta solo ed esclusivamente i dati che, come scrivevamo su Tempi, sono contenuti nei «report ufficiali delle massime istituzioni (soprattutto governo americano e Ipcc) e ricerche di indiscutibile autorevolezza. Tutti documenti che – al netto delle sintesi per giornalisti e decisori, spesso furbescamente studiate per assecondare lo storytelling allarmista – contengono, magari seppellite tra centinaia di pagine illeggibili, moltissime esplicite ammissioni di ignoranza, incomprensione o disaccordo sull’interpretazione dei dati di realtà».

I caveat dimenticati

Konnin non è un “negazionista”, è semplicemente un “realista” e un “non conformista”. Usa gli stessi dati dell’Ipcc per dimostrare che «il nostro contributo alle emissioni di gas serra e di conseguenza al riscaldamento globale è talmente piccolo e recente, rispetto agli enormi processi e cambiamenti climatici millenari in atto nel pianeta, che appare davvero azzardato, se non presuntuoso in tutti i sensi, attribuirci con certezza la responsabilità totale del “clima impazzito”».

Per Koonin non ci sono dubbi che il pianeta si stia riscaldando o che vi sia un’influenza antropica sul clima; quel che contesta è che tali fenomeni siano presentati con toni “da ultima spiaggia” e come definitivi. A dirlo sono gli stessi studi che «fanno previsioni ipotetiche su queste cose, ma ci mettono molti più caveat di quanto si sappia». Quei caveat che la propaganda ambientalista si scorda troppo spesso di citare.

Foto Ansa

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