Anziché creare lavoro, il Governo ci dà il metadone

Un articolo di Alberto Brambilla sulla Stampa mette al palo le politiche di Conte&Co: troppi bonus e assistenza, nessun rilancio e progetto

Se in questo fine settimana vi è sfuggito, dovete recuperare la lettura di un editoriale uscito sulla Stampa a firma di Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali e unanimemente riconosciuto tra i massimi esperti del settore. Nel suo commento intitolato “Metadone sociale. Dalla Cig alla Naspi”, Brambilla fornisce qualche numero e qualche considerazione che i nostri politici, a partire da quelli al governo, dovrebbero tenere in seria considerazione

«Nel Paese – scrive – aleggiano alcune convinzioni molto pericolose alimentate più o meno consciamente dal governo tanto fortunato quanto poco capace: la prima che i soldi per superare la crisi siano infiniti; la seconda che lo Stato, finora ignorato dai più debba intervenire distribuendo risorse a tutti perché tutti hanno diritti (di doveri neppure l’ombra) e hanno avuto problemi dal Covid; terzo che comunque l’Europa, vituperata dai più, ci darà tanti, tanti soldi eliminando le odiate regole di Maastricht e i vincoli all’indebitamento; quarto che si possa campare anche senza lavoro. E questo Governo, tra i più fortunati degli ultimi 20 anni perché l’Unione, pur di bloccare i “populisti” avrebbe fatto qualunque cosa, ha beneficiato della temporanea sospensione dei vincoli di bilancio e dei molti soldi europei di cui nessun governo precedente aveva goduto».

Progetti, non bonus

Brambilla fa sua la linea di pensiero del presidente di Confindustria Carlo Bonomi che sempre sulla Stampa (lo avevamo segnalato anche su Tempi) aveva denunciato in modo schietto e diretto le inadempienze dell’esecutivo giallorosso, più attento a distribuire soldi a pioggia anziché di creare lavoro. Il rischio, dice Brambilla, è quello di sprecare un’occasione unica «in bonus, incentivi inutili (escluso il 110% che è persino troppo) in monopattini e bici, acquisti discutibili (banchi scuola a rotelle) e eccessivi ammortizzatori sociali per non parlare del blocco dei licenziamenti e del pericoloso prosieguo dell’inutile stato di emergenza, unico Paese in Ue».

«Proviamo a fare qualche esempio concreto. Pensiamo agli oltre 7900 Comuni d’Italia che hanno municipi, scuole, biblioteche e altre strutture pubbliche bisognose di tanta manutenzione; pensiamo agli asili nidi, agli ormai necessari centri per la valorizzazione e integrazione sociale della terza età che in Italia varrà un terzo della popolazione nel 2030 cioè domani (la silver economy); e che dire delle strade provinciali e comunali. Affidando con budget, schemi e regole precise ai sindaci, ai responsabili delle province questi progetti, si aprirebbero più di 16 mila piccoli cantieri che potrebbero occupare oltre 100 mila lavoratori e creare un indotto robusto con un parallelo aumento dei consumi».

Banchi di scuola

Altre idee? Il presidente di Itinerari previdenziali ricorda che si potrebbero incaricare le regioni di mettere a posto «tribunali (alcuni sono addirittura inagibili), carceri, poli scolastici, acquedotti, completamento delle autostrade, alta velocità, trasporto pubblico, riconversioni green, tutte iniziative indispensabili per il Paese ma soprattutto per il non rinviabile sviluppo del Sud. Secondo l’Ance ogni miliardo investito potrebbe generare 17 mila posti di lavoro e un indotto di oltre 3 miliardi; 70 miliardi genererebbero 1,2 milioni di posti di lavoro, esattamente il numero previsto di nuovi disoccupati e altri almeno 140 miliardi di indotto». Oppure i banchi di scuola che hanno fatto tanto discutere: «Se pensati in modo industriale e cioè facendo un prototipo con scheda di qualità e costo a cui tutti i fornitori si devono attenere e dando la responsabilità della richiesta pubblica al sindaco o al provveditore, avrebbero fatto lavorare, come ha suggerito Renzo Piano, 16 mila falegnami italiani che in 5 settimane avrebbero prodotto 800 mila banchi; altro che bando pubblico».

Addormentare l’economia

Insomma, tutto il contrario della linea su cui si stanno muovendo Conte e soci che, invece, elargiscono soldi con reddito di cittadinanza e simili.

«Nel 2008 per l’assistenza lo Stato spendeva 73 miliardi l’anno; nel 2019 sono 114; 41 miliardi in più strutturali. Nello stesso periodo la povertà assoluta e relati-va anziché diminuire è aumentata da 8,6 milioni del 2008 agli oltre 14 milioni del 2018. Ma quel che più preoccupa è l’adagiarsi di molti lavoratori, anche giovani, al “metadone sociale” dell’assistenza: cassa integrazione, Naspi, Dis-coll, RdC, di emergenza, sussidi vari per disoccupati e inoccupati e così via. Se è fuor di dubbio che alcuni di questi strumenti sono stati indispensabili per i primi mesi di pandemia, oggi non lo sono più, anzi corriamo il rischio di “addormentare l’economia”».

E quando finiranno i soldi?

Per non tornare troppo indietro nel tempo, Brambilla fa due conti su quanto accaduto fino al termine di agosto:

«Cominciamo con il bonus da 600 euro che secondo i dati Inps al 3 agosto ha avuto 5,1 milioni di soggetti beneficiari per un costo di 12,3 miliardi che potrebbero diventare 15 considerando anche agosto. La Naspi e la Dis-coll, per i circa 700 mila disoccupati dipendenti e collaboratori costano fino ad agosto, compresi i contributi figurativi circa 4 miliardi; per la cassa integrazione ordinaria, in deroga e il Fis (fondo di solidarietà) sono state autorizzate oltre 2 miliardi di ore anche se poi quelle effettivamente utilizzate sono state circa il 34%; ne hanno beneficiato per singoli periodi circa 7 milioni di lavoratori ed è costata compresi i contributi figurativi, circa 5 miliardi. Escludendo i bonus Renzi (9,5 miliardi), il bonus baby sitter, bebè, i finanziamenti alle Pmi a fondo perduto, i 4 miliardi di Irap e altri sussidi, la spesa assistenziale è ammontata a oltre 25 miliardi, cui si dovrebbero aggiungere circa 24 miliardi di mancate restituzioni dei finanziamenti garantiti da Sace (Garanzia Italia) e dal Fondo di Garanzia che hanno erogato in totale poco più di 80 miliardi, se, come si dice, il 30% delle attività beneficiarie di sussidi e finanziamenti garantiti non riaprirà più i battenti».

Cosa succederà quando le aziende potranno ricominciare a licenziare? «La differenza degli occupati tra luglio 2019 e luglio 2020 è di circa 700 mila in meno». Ci si aspetta che un altro mezzo milione di persone perderà il posto. Solo che, quando avverrà «i soldi per Cig, Naspi e bonus saranno tutti finiti senza aver prodotto alcun posto di lavoro»

Foto Ansa

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