Thomas Stearns Eliot, accostandosi alla Pozzi su consiglio di Montale, dice d’apprezzarne «la purezza e l’onestà d’animo». Nelle poesie dell’autrice milanese prende forma un desiderio irresistibile per la natura, una tensione adolescenziale a conoscere il senso delle cose. Questa la ragione dell’appellativo affibbiatole da Montale di scrittrice «forever young». Tutto ciò, però, velato da un senso di nostalgia, d’incompiutezza. Neppure la poesia basta a nominare ciò che si cerca. In una lettera a Vittorio Sereni scrive che «forse l’età delle parole è finita per sempre». Un blocco, ma in negativo, che era già di Dante in Paradiso. Incapace, la Pozzi, di sostenere questa impossibilità, la strada che sceglie è la stessa di Tonio Kroeger, nel famoso racconto di Thomas Mann. Il poeta «è colui che non arriva alla vita, ma va oltre la vita».
Sgorgo (da Parole, 1989)
Per troppa vita che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno.
E all’improvviso,
come per una fonte che si scioglie
nella steppa,
una ferita che nel sonno
si riapre,
perdutamente nascono pensieri
nel deserto castello della notte.
Creatura di fiaba, per le mute
stanze, dove si struggono lampade
dimenticate,
lieve trascorre una parola bianca:
si levano colombe sull’altana
come alla vista del mare.
Bontà, tu mi ritorni:
si stempera l’inverno nello sgorgo
del mio più puro sangue,
ancora il pianto ha dolcemente nome
perdono.
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