Angeletti (Uil): «La recessione è in vista, come si fa a ridurre gli ammortizzatori sociali?»

Intervista al segretario generale di Uil sulla riforma del mercato del lavoro: «Sostituire la cassa integrazione con un’indennità di disoccupazione cambia le cose solo da un punto di vista teorico. Il dibattito sull'articolo 18 è falsato da una scarsa informazione»

L’esecutivo ha presentato a sindacati e Confindustria un documento in cinque punti per la riforma del mercato del lavoro: tipologie contrattuali, apprendistato, flessibilità, ammortizzatori sociali e servizi per il lavoro. E se la bozza non è ancora circolata, le indiscrezioni si sprecano. Se il presidente del Consiglio Mario Monti ha assicurato che non si procederà per decreto, Elsa Fornero, ministro del Lavoro, ha dettato i tempi: l’obiettivo è di chiudere entro tre-quattro settimane. Saranno sufficienti? Il prossimo tavolo dovrebbe tenersi entro il 30 gennaio. Nel frattempo sono emerse una serie di fratture, a partire dal metodo: il ministro aveva proposto di procedere per gruppi tematici via internet (idea bocciata) e soprattutto non ha consegnato il testo in tempo perché fosse rivisto, dopo che erano state sollevate delle obiezioni. Per il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, si tratta di un errore: «Il tema è delicatissimo, e occorre trovare un punto di sintesi tra interessi diversi. Via internet la vedo dura: chi si occupa, poi, di fare questo lavoro di raccordo? Inoltre si rischia che le posizioni si radicalizzino. Se il governo ascolta le parti sociali, e poi fa come gli pare, si rischia il disastro. Non possiamo mettere i cittadini davanti a soluzioni prese da altri».

Segretario, il ministro Fornero ha precisato che nel documento per la riforma del mercato del lavoro «non c’è scritto» di eliminare la cassa di integrazione straordinaria. 
Me lo auguro. Abbiamo davanti un periodo di recessione, che speriamo sia breve e non particolarmente disastroso. Ma molti perderanno il posto di lavoro. A queste persone, a quelle che sono già in cassa integrazione, chi comunica che gli ammortizzatori sociali, invece che essere rafforzati, saranno diminuiti?

Si è parlato di sostituire la Cigs con “indennità risarcitorie” e di introdurre un sussidio di disoccupazione. Questa misura sarebbe inserita nella riforma, ma prevedendo “un’applicazione dilazionata”. Ad oggi le uniche realtà senza un reddito minimo garantito sono l’Italia, la Grecia e l’Ungheria: da noi è stato prima ventilato come possibilità, poi rimandato perché richiede risorse “ora non individuabili”. Non è ben più grave dell’articolo 18? Cosa dobbiamo aspettarci?
Sostituire la cassa integrazione con un’indennità di disoccupazione cambia le cose solo da un punto di vista teorico. E nella pratica? Si tratta degli stessi soldi e per gli stessi anni? Il reddito viene protetto nello stesso modo? Io credo di no. Questo schema potrebbe funzionare forse in trenta provincie italiane, laddove è realistico che dopo aver perso il lavoro si accetti di fare formazione, imparare un nuovo mestiere e nel giro di un anno o due trovare un nuovo impiego. La famosa flexicurity. Nelle altre, manca la security: il tasso di disoccupazione è doppio rispetto alla media europea. Ci sono due possibilità su cento, che questo schema funzioni. Meglio la speranza che l’azienda riapra del sussidio di disoccupazione.

Qual è il valore simbolico e concreto dell’articolo 18? In tempo di crisi è un’ancora a cui aggrapparsi o come alcuni sostengono una zavorra che ostacola la crescita? 
Il dibattito è falsato da una scarsa informazione. E spesso il tema è trattato in modo strumentale. Torniamo alla realtà: l’articolo 18 stabilisce semplicemente che per licenziare qualcuno serve un motivo. Non c’è scritto da nessuna parte che in tempo di crisi sia impossibile licenziare un lavoratore. Non c’entra nulla con la flessibilità. Individuare nuove regole di uscita da un’azienda è un’operazione complicata, dal punto di vista tecnico e soprattutto politico. Fa molto più comodo renderlo un totem, che come tutti i totem nasconde una verità rivelata: che senza articolo 18 le imprese si precipiterebbero ad assumere i giovani, oggi fortemente svantaggiati. È un’argomentazione a dir poco perfida. Oltre che menzognera.

Il piano Fornero sembra rifarsi al disegno di legge di riforma suggerito due anni fa dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Nel loro pamphlet (“un nuovo contratto per tutti”, Chiarelettere, 2008) proponevano anche un Rmg per tutelare i disoccupati di lungo periodo. Dimostrando che una seria riforma degli ammortizzatori sociali costerebbe solo l’1% della spesa corrente annuale. Vero o falso?
Il governo ha annunciato che i soldi non ci sono. Certo, si possono avere diverse opinioni su come sono stati spesi in questi anni. Ma se il governo in carica, responsabile dell’uso del denaro pubblico, dice che le risorse mancano, dobbiamo crederci. Nel frattempo, impegniamoci ad arginare il precariato. Con soluzioni razionali. Il concetto di flessibilità è stato abusato dalle aziende, con effetti disastrosi: pensiamo a quello che succede quando un datore di lavoro obbliga i dipendenti a usare le partite Iva.

L’Istat ha rilevato che in Italia nel biennio 2008-2009 sono state 800.000 le donne che hanno lasciato il lavoro per motivi legati alla maternità. Quello delle dimissioni in bianco è un tema che affronterete in questa riforma del lavoro?
Il ministro Fornero ha dichiarato che si prenderà a cuore il problema delle dimissioni in bianco con cui le imprese riescono a licenziare le donne. E anche noi. La legge del 2007, che imponeva l’obbligo di redigere le dimissioni su un apposito modello informatico, fu abolita in nome dello snellimento della burocrazia. Ma eliminare questa norma con la scusa della semplificazione si è rivelato estremamente sbagliato. Il risultato è che non ci sono più sistemi di protezione. A volte si riesce, con molta fatica, a dimostrare che la firma non aveva valore in quanto imposta con la forza. Ma se all’abilità dei nostri avvocati si unissero delle norme più stringenti, la situazione migliorerebbe nettamente.

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