Anche Dio, facendosi uomo come me e te, è passato attraverso la depressione

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Caro padre Aldo, ti scrivo di una domanda che ho pressante. All’età di 14 anni ho dovuto fare i conti con una malattia: l’anoressia. Dopo molti ricoveri, alcuni con il sondino naso-gastrico, la mia dipendenza dal cibo si è trasformata in un bisogno radicale di Dio, come se tutto quello a cui aspirassi quando ero malata, un bel corpo ed essere voluta bene, non mi bastasse più. Non è avvenuto da un giorno all’altro, è stato un cammino, fatto con gli amici di Gs, con gli adulti, con un mio amico sacerdote e con il mio moroso, che ho incontrato circa due anni fa e che è presenza incarnata di Cristo nella mia vita. Gli anni sono passati, ma la domanda urgente che ho iniziato a percepire, del senso della mia vita, non è svanita. Ho ancora un rapporto conflittuale – a volte drammatico – col cibo e coi pensieri cattivi che mi porto dietro da quando mi sono ammalata. Mi chiedo, nei momenti di depressione legata al cibo, se la mia testa possa prevalere sulla mia identità ed esperienza e, ultimamente, sul mio cuore, o se vince Qualcun altro anche su questa circostanza nella quale io non sono più padrona di me stessa.
Caterina

Ancora una volta Dio mi provoca attraverso una persona che non conosco ma con la quale ho in comune la depressione, un male nascosto che tortura l’anima, la concezione stessa che uno ha di sé. Spesso la ragione si riempie di fantasmi, di ossessioni, venendo meno al suo compito che è quello di fare i conti con la realtà. Ricordo bene quando, nei lunghi anni vissuti in compagnia di questa malattia, la mia ragione era come paralizzata. Spesso mi trovavo con lo sguardo spento che guardava ma non coglieva il senso di ciò che guardava. Camminando per la strada parlavo da solo per impedirmi di scoppiare. Stavo bene solo quando celebravo la Messa o parlavo dell’amore di Gesù, per cui ero come ansioso di avere più opportunità possibili per annunciare il Vangelo. Ma poi tornavano quei “mosconi” a riempire la mia povera testa di assurde ossessioni. È impossibile a chi non ci è passato rendersi conto di quanto fa soffrire questa malattia.

Eppure, anche nella disperazione più acuta, c’è sempre un piccolo spiraglio di luce che per me è stato l’abbraccio del servo di Dio don Luigi Giussani e poi di padre Alberto, un sacerdote di Forlì, missionario in Paraguay e al quale il fondatore di Cl mi ha consegnato. In fondo si tratta sempre di un problema affettivo. Un abbraccio, non una pacca sulla spalla: il sentirsi accolti nella propria totalità, sentire che tu vali, che sei qualcuno. E lo sei perché in ogni momento tu sei fatto, sei voluto da una presenza eccezionale che ha voluto entrare nella tua storia facendosi uomo come te, in tutto eccetto che nel peccato.

La disperazione del Figlio di Dio
Nel farsi uomo, anche Lui ha sperimentato la depressione. Péguy parla della “nevrastenia” di Gesù. L’esperienza del Getsemani e poi della croce fanno parte di questo male oscuro che certi santi chiamano “notte dell’anima”. Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, va in compagnia degli amici nell’orto del Getsemani, e si ritira per pregare. Comincia a sudare sangue per il terribile dolore che lo tormenta, sapendo ciò che lo aspetta. Per tre volte chiede ai suoi amici di fargli compagnia, inutilmente. Deluso, grida al Padre: «Se è possibile risparmiami questo amaro calice… però sia fatta la tua volontà». Momenti terribili di angoscia che termineranno con la morte sulla croce. Il dolore non è solo fisico ma soprattutto morale perché si sente abbandonato anche dal Padre. «Dio mio perché mi hai abbandonato?». Da questa solitudine, da questa “disperazione” del Figlio di Dio è sbocciata la tua identità, per cui tu sei quello che sei per l’eternità, e non c’è nulla che può toglierti la tua identità.

Caterina, tu sei di Gesù, sei sua proprietà e lo sei anche quando il tuo cervello è nella nebbia e le ossessioni ti tormentano. Se veramente vogliamo essere ciò che ontologicamente siamo, tutti dobbiamo fare il percorso di Gesù, fino alla croce. Solo Lui può riempire il vuoto che viviamo. Tu sarai padrona di te stessa solo quando riconoscerai che un Altro è padrone di te.
Continua a camminare in compagnia di chi ama il tuo destino e ti tende la mano. Nella dura pazienza del tempo, ti renderai conto della positività di ciò che ora è una tortura. Te lo dice un povero uomo a cui Dio non ha risparmiato la croce che tutt’ora porta. Il Papa venendo in casa mia mi ha detto: «Adelante padre, y gracias». E io lo dico a te: «Adelante».
paldo.trento@gmail.com

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