Diceva ieri la moglie Annalena che Gigi ha tenuto duro fino a mezzanotte e cinque per morire nello stesso giorno di don Giorgio Pontiggia, il sacerdote che, assieme a don Luigi Giussani, più ha forgiato la sua vita nel fuoco.
Ci sono date che non possono essere casuali e che Amicone sia morto nello stesso giorno del prete che lo introdusse all’avventura cristiana e pochi giorni dopo il genetliaco del fondatore di Comunione e liberazione, può essere uno scherzo, chissà, una coincidenza, chissà, ma a noi piace dantescamente pensare che, poiché nulla è invano, anche questo sia un ulteriore segno di quella Storia che ha contraddistinto tutta la storia del nostro caro Gigi.
Perché una cosa di Amicone ci è sempre stata chiara: Gigi è incomprensibile senza Cl, ma, osiamo questo pensiero spregiudicato, anche Cl è incomprensibile senza Gigi. Se c’era una persona che aveva con don Giussani un rapporto filiale, questi era Amicone. Se c’era una persona che sentiva Cl come “roba sua”, “casa sua” e “sono sberle se me la toccate”, questi era Amicone. Gigi non era un ciellino anomalo, ma la quintessenza della ciellinitudine, con un più di dinamite ed esplosività umana.
Da quando era ragazzino con simpatie extraparlamentari a l’altro giorno, Amicone è sempre stato determinato dalla frase con cui don Pontiggia lo tramortì quando aveva 14 anni: «O Dio è tutto o non è niente». Su questa opzione radicale s’è giocato la vita, ha temprato il suo carattere di senzapaura, si è sposato, ha scritto Nel nome del Niente, ha fatto sei figli, ha fondato un giornale, s’è buttato in politica, ha divorato i libri di Hannah Arendt, Charles Peguy, Pier Paolo Pasolini e la sua preferita, Flannery O’Connor, che come lui del mistero dell’incarnazione diceva: «Se è un simbolo, andate al diavolo».
Ci diceva spesso: non si può fare Tempi in modo impiegatizio. Cioè: se sei venuto qui per risparmiarti, quella è la porta. Cioè, se speri di cavartela con qualche escamotage e un po’ di mestiere, non hai capito che qui si resta fedeli al motto paolino-giussaniano «non conformatevi».
Nel suo ultimo articolo sul mensile ha scritto che viviamo in un’epoca di «malinconico accomodamento borghese. Trent’anni di sepolcri imbiancati e informazione sdraiata nella polvere ce l’hanno fatta a creare apatia e scetticismo su tutto».
Era per non arrendersi a questo assestamento blando e cinico che aveva fondato questo giornale, dato la possibilità a molti di noi di scrivervi, combattuto battaglie che ora i suoi avversari definiscono “perse”.
Ma niente è perso in una vita compiuta e niente è perso nella vita di Gigi. Non c’è stato minuto in cui lui non l’abbia dedicata a sperimentare l’ideale incontrato da ragazzino: «O Dio è tutto o non è niente».