Accostarsi al mondo, come? L’esempio dei Papi

Francesco e Benedetto al centro della cronaca: l'intervista a Rai 3 e le risposte agli attacchi sulla pedofilia. Cosa c'è in ballo

Il papa emerito Benedetto XVI e papa Francesco, Città del Vaticano, 5 luglio 2013

Il mese di febbraio ha visto come protagonisti i due Pontefici, il primo, Francesco, con l’intervista a Rai tre durante il programma di Fazio “Che tempo che fa”, il secondo, il Papa emerito Benedetto XVI, suo malgrado per le accuse provenienti da uno studio legale tedesco incaricato di stendere un rapporto sulla pedofilia clericale dal 1945 ai nostri giorni, che lo ha accusato di avere coperto almeno uno dei quattro casi di pedofilia del clero avvenuti oltre 40 anni fa nella diocesi di Monaco fra il 1977 e il 1981, quando era arcivescovo il futuro Benedetto XVI.

Le parole di papa Benedetto

Il Pontefice emerito ha risposto con una lettera letta pubblicamente dal suo segretario, l’arcivescovo Georg Ganswein, che è stata sostanzialmente travisata perché i principali quotidiani la hanno interpretata come una richiesta di scuse, quasi un’ammissione di colpa, quando invece sarebbe bastato leggerla per capire che il Papa emerito ha voluto esprimere vergogna e chiedere scusa per tutti i casi di pedofilia clericale che hanno funestato la storia della Chiesa nell’ultimo mezzo secolo, ma anche per ribadire la sua estraneità ai casi di pedofilia avvenuti nella diocesi di Monaco, compreso quello a proposito del quale si è verificato un errore di comunicazione peraltro riconosciuto dallo stesso Benedetto XVI: «È avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile. Ho già disposto che da parte dell’arcivescovo Gänswein lo si comunicasse nella dichiarazione alla stampa del 24 gennaio 2022».

Un mondo in frantumi

Ma quali sono le caratteristiche di questo mondo, certamente lontano e spesso ostile ai principi della fede cattolica, ma nel quale i Papi riescono a essere protagonisti? Vi invito a leggere un articolo di Antonio Polito sul Corriere della Sera dell’11 febbraio che solo apparentemente non c’entra con il tema che sto affrontando. Il giornalista spiega come la classe politica italiana sia ormai completamente divisa anche all’interno delle stesse coalizioni e singoli partiti. Salvini contro Meloni, Di Maio contro Conte per non parlare delle correnti del Pd, nessuno si salva dalla litigiosità. Nell’epoca delle ideologie i partiti di massa litigavano per opposte visioni del mondo, oggi solo per un po’ più di potere. Polito è molto duro coi partiti e li invita a chiarirsi al più presto su cosa vogliano, chi siano, e di quali regole intendano dotarsi.

Ma non è soltanto la politica a essere così in crisi di identità, così divisa anche all’interno di coalizioni e partiti. È tutto il mondo contemporaneo a essere andato in frantumi. Quando Solzenicyn avvisava che l’Occidente era un “mondo in frantumi” era il 1978, quindi si era ancora nell’epoca delle ideologie, oggi quel monito si è compiutamente realizzato in ogni livello della società, anche nelle micro-realtà come le associazioni, i movimenti, le stesse famiglie. E la pandemia ha accentuato divisioni e litigiosità, non sui massimi sistemi ma su temi assolutamente opinabili.

La rabbia contro tutti e tutto

Come se ne può uscire? Intanto bisogna rendersene conto. Sempre più spesso incontro brave persone che non si rendono conto di come questo virus ideologico (molto peggiore del Covid) si sia impadronito del loro modo di ragionare. Rancorosi, litigiosi, senza nessuna speranza, credono di avere la soluzione per tutti problemi, ovviamente una soluzione per loro assolutamente vera, senza porsi nemmeno un dubbio.
Queste persone fanno parte di gruppi separati, ognuno ha il suo “frammento”, spesso sono singoli collegati con alcuni sodali via internet. È la società coriandolizzata descritta da Giuseppe De Rita, dopo quella in frantumi indicata dal grande dissidente russo o la società liquida di Bauman.

A questa società bisogna accostarsi, partendo da come è. In pratica bisogna accostare ogni “frammento”, rivolgersi con parole adeguate, avere nel cuore il desiderio di comunicare tutta la verità e però bisogna farlo tenendo conto dell’ambiente al quale si sta parlando. L’evangelico “lucignolo che ancora fumiga” è presente in ogni persona. Invece molti sono abituati a litigare secondo un retaggio del Sessantotto, quando tutto era politica e tutto veniva affrontato nel nome dell’ideologia, per la quale l’avversario andava distrutto, non convinto o accompagnato alla conversione. C’è una frase di Joseph Ratzinger che mi sembra descriva bene il tipo umano uscito dalla rivoluzione del 1968 e diventato ancora più rancoroso oggi: «La rabbia contro tutti e contro tutto appesta il suolo dell’anima e lo rende sterile» (P. Seewald, Benedetto XVI, Garzanti 2021, p. 631).

L’intervista a Scola

Proprio i Papi ci hanno dato l’esempio di come accostare gli uomini nostri contemporanei nel tentativo di cambiare il mondo, di renderlo migliore. In particolare, da Pio XII in poi, comincia di fatto la nuova evangelizzazione degli antichi paesi cristiani. I viaggi apostolici da Paolo VI a Giovanni Paolo, gli incontri frequenti e amichevoli con i “lontani” come Pertini e Scalfari, i libri-intervista e le interviste, anche quelle in aereo dove facilmente sfuggono parole che vengono sistematicamente fraintese. È facile criticare, invitare alla prudenza, e a volte può essere anche legittimo farlo con i dovuti modi, ma spesso chi critica lo fa perché quel virus ideologico di cui sopra gli ha cambiato il cuore.

Chi in questi giorni ha proposto una lettura seria di fronte alla crisi del mondo post-moderno e ai due gesti che sto commentando, l’intervista di Francesco e la Lettera di Benedetto XVI, è stato il cardinale Angelo Scola in una intervista a Repubblica del 10 febbraio, cercando di andare «alla radice del problema» della pedofilia.

L’intervista avviene nel contesto di un giornale che il giorno prima, 9 febbraio, aveva dato spazio ai risentimenti della Chiesa tedesca contro Benedetto XVI con una lettura quanto meno singolare dell’accaduto, espressa nel titolo “Basta con il silenzio”. La svolta di Benedetto dettata dal clero tedesco.

I titoli dei giornali

Ma come, proprio Ratzinger che già durante il pontificato di san Giovanni Paolo II, da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, aveva impostato un cambiamento di atteggiamento della Chiesa nei confronti della pedofilia, con un’attenzione particolare riservata alle vittime, superando la paura degli scandali? Eppure il quotidiano riporta la «richiesta del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e consigliere del Papa sui temi economici, rivolta a Benedetto XVI affinché si decidesse a scuse esplicite in merito agli errori commessi quando era arcivescovo in Baviera».

Di queste scuse non c’è traccia nella lettera di Ratzinger e in quella dei suoi collaboratori che spiega la sua estraneità ai fatti contestati. Ratzinger invece si fa carico di tutto il male commesso da uomini di Chiesa, anche per la responsabilità che ha avuto nella struttura della Chiesa stessa. Senza dimenticare, cosa che fa Repubblica, che lo stesso cardinale Reinhard Marx viene accusato dal Rapporto per due casi di pedofilia durante il suo episcopato, cioè adesso non 40 anni fa come nel caso di Ratzinger.

L’intervista al cardinale Scola forse è uscita anche per riequilibrare il titolo del giorno prima (Il mea culpa di Ratzinger), titolo comune ai tre principali italiani, La Stampa, Il Corriere della Sera e Repubblica, tutti orientati a giocare sull’equivoco, cioè a fare passare la lettera di Ratzinger come un’ammissione di colpa, come ha fatto opportunamente notare Emanuele Boffi sul sito di Tempi.

Mondanizzazione della Chiesa

Ma ecco che cosa dice Scola: «Noi paghiamo le difficoltà di una vita della Chiesa che dopo la seconda guerra mondiale riempiva le parrocchie di gente con le varie associazioni che pullulavano di impegno e fervore, senza che ci si chiedesse il “perché” e il “per chi” di questo stesso impegno, perché si andava massicciamente a messa, perché ci si dedicava al volontariato. 
Prevaleva la convenzione sulla convinzione. Da lì, dal non entrare nelle ragioni profonde della pratica religiosa e dell’impegno sociale, è nata la deriva e una reale scristianizzazione con tutte le conseguenze».

Ma qual è allora il male della Chiesa, gli chiede l’intervistatore? 
«Francesco cita il teologo De Lubac che parla di “mondanizzazione della Chiesa”. Sono nuove forme di pelagianesimo e di gnosticismo ad attaccare oggi la Chiesa dal suo interno. Il Papa fa riferimento a due eresie dei primi secoli che a suo giudizio, e ovviamente secondo tutte le sfumature necessarie, continuano ad avere un’allarmante attualità. Una è lo gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua ragione o dei suoi sentimenti. L’altra è il pelagianesimo autoreferenziale di coloro che fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile di vita. Mentre la salvezza, anche contro i crimini terribili della pedofilia, viene da donne e uomini che accolgono la grazia di Cristo e che sono aiutati a domandarsi “perché” e “per chi” seguono il Signore. La nostra speranza è lì».

Una testimonianza clamorosa

La salvezza dunque viene da una fede semplice, catechistica e che consiste nell’abbandonarsi a Cristo e alla sua Chiesa, ma non semplicisticamente, bensì approfondendo la fede, anche per diventare capaci di trasmetterla, evitando così quanto appunto accadde nel secondo dopoguerra in Italia, come abbiamo visto, ma anche in Germania, dove nel 1959 proprio Ratzinger già parlava di “nuovi pagani” a proposito dei cristiani che riempivano le chiese ma non conoscevano la fede che professavano.

E la lettera di Benedetto XVI, secondo il cardinale Scola, riflette il suo stile, responsabile e sempre alla ricerca della verità: «È una lettera profonda, in tutto ratzingeriana, che mostra la volontà di vivere il senso di comunione ecclesiale prendendosi sulle spalle la responsabilità di quanto fa ogni membro della Chiesa e dell’intero popolo di Dio, nel bene come nel male. Per me è una testimonianza clamorosa, in un tempo di individualismi dove tutti sono tesi solo a giustificare la propria persona e a dire “io son fuori da questa responsabilità, non c’entro, gli altri faranno quello che vorranno”».

Foto Ansa

Exit mobile version