Le vite dei neri contano, ma alcune contano meno delle altre

La scandalosa assenza di Black Lives Matter alla veglia per Sasha Johnson, militante antirazzista aggredita a Londra un anno fa e presto messa da parte

Sasha Johnson

“Black lives matter”, le vite dei neri contano, ma quella di Sasha Johnson conta un po’ meno delle altre. È questa in sostanza l’amara “morale della favola” tratta per Spiked da Inaya Folarin Iman, giornalista e presentatrice tv molto attenta ai temi politici e culturali legati alla lotta contro il razzismo, all’indomani della veglia convocata a Londra a un anno dall’aggressione che ha ridotto in fin di vita l’attivista per i diritti dei neri e andata semideserta.

Ventotto anni, due figli nemmeno adolescenti, la militante antirazzista britannica Sasha Johnson giace su un letto di ospedale da quando, il 23 maggio del 2021, a Londra, qualcuno le sparò alla testa infliggendole ferite «catastrofiche e permanenti». A sostenerla alla veglia di Denmark Hill questa settimana non c’erano più di 30 persone, sottolinea Inaya Folarin Iman, «per lo più gruppi della vecchia scuola del black power e del nazionalismo nero come la Nation of Islam. Di un gruppo in particolare si è notata la mancanza: Black Lives Matter».

Testimonial ideale per Blm

E dire che l’ascesa di Sasha Johnson nel mondo della militanza per i diritti dei neri risale proprio al 2020 in concomitanza non solo temporale, ma anche ideale, con quella del celebre movimento esploso dopo l’omicidio negli Stati Uniti di George Floyd. Questa donna, ricorda la giornalista, «attirò molta attenzione con il suo abbigliamento ispirato alle Pantere nere, la sua appassionata retorica nero-centrica, i suoi talvolta stravaganti alleati politici e la sua disponibilità a dibattere con gli avversari, tra i quali l’ex leader dell’English Defense League Tommy Robinson».

Insomma, Sasha Johnson è stata una testimonial perfetta (pur con qualche distinguo concettuale) con la rivolta antirazzista montata in quel periodo sotto le insegne di Black Lives Matter. E quando il 23 maggio dell’anno scorso, nelle prime ore del mattino, durante una festa nel quartiere di Peckham, Londra, Johnson si è presa una pallottola in testa, racconta Spiked, «ci fu immediatamente molta speculazione riguardo ai motivi [del tentato omicidio], e molti si affrettarono a dare per scontato che ci fosse un movente razziale. La parlamentare laburista Diane Abbott si spinse fino da dichiarare: “Nessuno dovrebbe pagare con la vita il proprio impegno per la giustizia razziale”. Il giorno successivo alla sparatoria, quando molti dati erano ancora avvolti nell’ignoto, Black Lives Matter Uk organizzò una veglia».

Quei dettagli scomodi

Poi, nel tempo, sono cominciati a emergere alcuni dettagli sull’aggressione poco conciliabili con la narrazione di Blm. Soprattutto, qualche giorno dopo il fatto sono stati arrestati cinque giovani e «si è appreso che i sospettati non erano bianchi, e questo rendeva improbabile che si fosse trattato di un attentato suprematista bianco». Così, «i commenti cominciarono a diradarsi», constata Inaya Folarin Iman. Mentre nel febbraio scorso il processo nei confronti dei cinque arrestati è crollato per mancanza di prove. E per il rifiuto di parlare da parte dei tanti testimoni presenti sulla scena del crimine.

Scrive Iman:

«Recentemente la famiglia Johnson ha condiviso immagini raccapriccianti di Sasha in ospedale dove si vedeva la sua testa parzialmente mutilata, ma ormai molti di quanti inizialmente avevano fatto dichiarazioni contro l’aggressione non avevano più nulla da dire. Non ci sono state piazze nere, nessun hashtag, nessuna dimostrazione di massa né disobbedienza civile. Il crowdfunding organizzato dopo la sparatoria per sostenere la Johnson e la sua famiglia ha superato a malapena metà del suo modesto obiettivo di 20.000 sterline».

Il vero disprezzo verso i neri

C’è un evidente «doppio standard nella risposta della società alle persone di colore vittime di violenza», denuncia la giornalista.

«Gli omicidi e le brutalità della polizia, pur essendo relativamente rari nel Regno Unito, destano un’attenzione enorme. Invece sembra esserci molta meno preoccupazione per il fatto che le persone di colore finiscono vittima di crimini violenti in modo sproporzionato. I giovani maschi neri in Gran Bretagna hanno una probabilità 24 volte maggiore di morire per omicidio rispetto alle loro controparti bianche. […] È questo, mi viene da dire, l’esempio più potente di quanto le vite dei neri siano disprezzate».

Invece si assiste a una «velenosa indifferenza nei confronti della violenza nichilista che flagella settori significanti delle comunità delle minoranze etniche britanniche». Si tratta, per Inaya Folarin Iman, di «un’accusa devastante per la nostra società». Società che, se davvero avesse a cuore le vite dei neri, dovrebbe prendere urgentemente decise contromisure rispetto a una simile emergenza, anziché stare a misurare quanto questa si sposi o meno con una certa campagna politico-ideologica.

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