Il video americano che fa cambiare idea sull’aborto. Sono bambini, non problemi

Il gruppo pro life americano Live Action ha realizzato una nuova inchiesta sull'operato dell'industria dell'aborto negli Stati Uniti, entrando in diverse cliniche del colosso abortivo Planned Parenthood

Toby a 24 settimane di vita compare mentre stringe con la sua mano minuta il dito “enorme” di un adulto. Pubblicato su Facebook quattro mesi fa, il video “What is Human?” che contiene questa immagine è stato visto milioni di volte ed è diventato virale, con oltre 62 mila condivisioni e più di 23 mila commenti.

«LA VITA INIZIA QUANDO LO PENSI». Il gruppo pro life americano Live Action, che ha realizzato diverse inchieste sull’operato dell’industria dell’aborto, ha realizzato un filmato entrando con una telecamera nascosta in diverse cliniche del colosso abortivo Planned Parenthood. Nel filmato affianca le immagini di molti bambini nati prematuri o ancora in utero alle risposte date da infermiere e medici delle cliniche abortive, secondo i quali «nella mia mente la vita inizia quando la madre pensa che inizi (…). Per alcune donne prima, quando concepiscono, per alcune mai: anche dopo il parto, quello resta un problema, non un bambino».
A queste parole del medico Leroy Carhart segue il colloquio fra una donna incinta e un’operatrice di un centro affiliato alla Planned Parenthood. La madre domanda se il piccolo in grembo a 23 settimane ha già gli organi sviluppati: «Non assomiglia nemmeno a un bambino», risponde l’operatrice. Durante un altro colloquio una donna alla 27esima settimana di gravidanza chiede se il suo piccolo sia già un bambino e un’altra consulente risponde che, «beh, dipende da cos’è per te un bambino».

CARNE IN PENTOLA. Segue la descrizione della procedura abortiva tramite l’iniezione della digossina nel bambino in grembo, effettuata infilando un ago in utero per fermarne il battito cardiaco. Un’operatrice spiega che «possiamo fare l’interruzione solo dentro e non fuori». «Ci sarà un bimbo morto dentro il mio corpo?», chiede poi una mamma al dottor Carhart: «Sì – risponde lui – ma è come mettere la carne in una pentola che si usa per la cottura lenta, non si rompe ma diventa più morbida». Quindi, prosegue la donna, «il bambino morto dentro di me è come carne in pentola?». «Beh sì, praticamente», prosegue il medico. «E che strumenti usate (per estrarlo dal corpo, ndr)?», continua lei. «Sono stati creati diversi strumenti, comunque ci sono meno possibilità di stare di fronte a un treno ed essere colpiti che di sopravvivere a questa procedura». Nel colloquio finale una madre parla con una dottoressa che le spiega che non «so se il bambino sentirà dolore. Perché, ti infastidisce?». La madre confessa di sì, domandando al medico se non sia problematico anche per lei: «Sento che questo deve avvenire per completare la procedura. È il modo più umano di farlo».

I SOPRAVVISSUTI. Fra i commenti al video postati su Facebook, compaiono le immagini di bambini sopravvissuti dalla 26esima alla 24esima settimana di vita: «Mio figlio non aveva nemmeno bisogno di un ventilatore quando è nato. E a sette mesi non ha anomalie», spiega Kayla Uphoff, mentre Artemese Bills mostra le immagini di due gemelli nati a 25 settimane e oggi di tre anni. Leethal Kitty Silvertongue invece è la mamma di una bimba sopravvissuta a 24 settimane.
Fra le altre compaiono anche le storie di chi ha varcato le soglie delle cliniche della Planned Partenhood per poi scappare. Infine, ci sono le testimonianze di persone che dopo aver guardato il filmato hanno cambiato completamente idea sull’aborto. Come 
Lindsay Turner Fields, che scrive: «Pensavo che fosse la donna a dover scegliere» ma «ho cambiato idea».

@frigeriobenedet

Exit mobile version