Prima di rottamarli, fate un viaggio a Cameri, dentro l’officina degli F-35

Entriamo nell'hub logistico dell’aviazione militare italiana. Dove vengono assemblati i nuovi cacciabombardieri. Ma soprattutto centro di manutenzione per gran parte delle potenze dell’area euro-mediterranea

«Le strutture per gli F-35 sono costruite dentro alla base aerea di Cameri, un hub logistico dell’aviazione militare italiana. La manutenzione degli Eurofighters e dei Tornado viene effettuata in questa base. La collocazione della struttura per gli F-35 presso un hub logistico italiano è il vero cuore della storia. Benché si tratti di una struttura per l’assemblaggio, la vera forza della struttura sta nella sua capacità di supportare l’operatività degli F-35 in Europa, nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La lezione centrale che viene dall’allestimento di questa struttura è che dare forma al supporto operativo per la flotta degli F-35 è un’attività di fondamentale rilievo per gli alleati nel momento in cui acquistano velivoli e configurano la flotta nella loro regione. Gli italiani hanno costruito un campus degli F-35 composto di 22 edifici che coprono un’area che supera il milione di piedi quadrati. Esso includerà una struttura per la verniciatura finale così come l’unica struttura in Europa per la verifica della bassa osservabilità radar del velivolo». Così scriveva recentemente su Breaking Defense, uno dei più importanti siti internet americani dedicati alle questioni della difesa, Robbin Laird, analista militare già membro dello staff del National Security Council degli Stati Uniti. Ogni giorno che passa gli americani diventano più consapevoli del valore strategico sotto tutti i punti di vista della base militare dell’aeronautica a Cameri, provincia di Novara, dove dal luglio scorso vengono assemblati gli F-35 destinati all’arma aerea italiana e già dal marzo 2011 sono prodotte componenti alari per i velivoli costruiti negli Stati Uniti. Forse è giunto il momento che anche gli italiani se ne accorgano, e ne tengano conto nei loro dibattiti spesso troppo approssimativi sul futuro dell’aviazione militare e dell’industria della Difesa italiane.

A Cameri verranno assemblati i 90 F-35 destinati a sostituire i modelli attualmente in dotazione alla nostra aviazione, obsoleti o in via obsolescenza: i Tornado, gli Amx, e gli AV-8B Harrier II. In tutto 253 arei, alcuni dei quali hanno già 40 anni di servizio, mentre altri li avranno fra poco. Dei 90 F-35 di cui l’Italia si doterà 60 saranno a decollo e atterraggio convenzionali, mentre gli altri 30 saranno del modello a decollo corto e atterraggio verticale, per poter essere collocati sulla portaerei Cavour. Che i velivoli sostitutivi siano così meno numerosi di quelli destinati alla sostituzione è indicativo della fiducia riposta nei nuovi modelli. Gli F-35 sono in via di sviluppo e non ancora perfezionati, ma nessuno dubita che si tratti del caccia di quinta generazione per l’attacco al suolo che per molti anni a venire rappresenterà l’assoluta eccellenza a livello mondiale. Si tratta del programma più evoluto di difesa aerea attualmente esistente. Del resto già un centinaio di essi sta volando sui cieli dell’America, e la fabbrica di Lockheed Martin a Fort Worth (Texas) lavora a pieno regime per produrre i 2.443 che le forze armate americane (aviazione, marina e corpo dei marines) acquisteranno nel corso degli anni e gli altri destinati ai paesi partner nel programma e ad alcuni paesi semplicemente acquirenti.

Cameri produce anche la componente alare destinata agli F-35 del modello a decollo e atterraggio convenzionale destinati a tutti i partner dell’intero programma, come seconda linea mondiale dopo quella attiva in America. Alla fine del 2013 erano già 11 i set alari messi a punto a Cameri e spediti negli Stati Uniti. Caratteristica dell’F-35 è il fatto che l’ala è un pezzo unico: le due semiali non sono staccabili e questo permette al velivolo di essere allo stesso tempo più leggero e più robusto e di necessitare di minore manutenzione (in quanto non esistono attacchi alari da revisionare). A Cameri, con la fabbrica a regime, si assembleranno 2 velivoli al mese e si produrranno 6,6 ali al mese, un totale di 72 all’anno (calcolati su 11 mesi lavorativi) per una commessa complessiva di 800 circa.

Montaggio e riparazione
Si è discusso e si discute del costo finale per l’Italia dei 90 F-35 di cui si è deciso di dotarci (dovevano essere 131 ma il numero è stato ridotto al tempo del governo Monti). Dovrebbe aggirarsi su una media di 90-95 milioni di euro a velivolo alla fine del programma. Considerando il coinvolgimento di 90 aziende italiane nei lavori, a cominciare da Alenia Aermacchi che ha costituito un raggruppamento temporaneo d’impresa con l’americana Lockheed Martin, produttrice dell’F-35, per tutte le attività negli stabilimenti di Cameri, e che è italiana parte dei sistemi d’arma (tra cui armamenti Oto Melara e sistemi avionici di Selex), le autorità italiane calcolano che al 2035 il 77 per cento dei circa 12,1 miliardi di euro che l’erario italiano prevede di dover spendere nel programma risulteranno recuperati attraverso le forniture di componenti alari agli americani e l’insieme dei ritorni industriali. Ma questo non è tutto: il vero business che potrebbe trasformare la partecipazione italiana al programma degli F-35, necessaria per mantenere efficiente la componente aeronautica della Difesa nazionale, in un’iniziativa anche economicamente conveniente si chiama manutenzione. Gli impianti di Cameri rappresentano una delle tre Faco/Mro&u previste in tutto il mondo per il programma F-35. La sigla sta per Final Assembly and Check Out/Maintenance, Repair, Overhaul & Upgrade. E indica che in tali centri non soltanto si assemblano e si mettono a punto i velivoli, ma si fanno pure le riparazioni, i controlli e la manutenzione. Insomma, sono i garage/officina degli F-35. Ce ne saranno solo tre nel mondo: uno a Forth Worth nel Texas, uno in Giappone e uno in Italia, a Cameri. Questo significa che gli F-35 impegnati in Europa, nell’area del Mediterraneo e in Medio Oriente dovranno per forza andare a fare il tagliando in provincia di Novara.
In particolare va verificata periodicamente la caratteristica “stealth” dell’aereo, cioè la sua bassa osservabilità da parte dei radar nemici (un tempo si parlava con troppa presunzione di “caccia invisibili”). Un intervento di Mro&u costa all’incirca 5 milioni di dollari, e mediamente un velivolo ha bisogno di farne uno ogni cinque anni. Nell’area euro-mediterranea saranno dotate di F-35, oltre all’Italia, le aviazioni di Regno Unito, Olanda, Norvegia, Danimarca, Turchia, Israele e ovviamente le basi militari di terra degli Stati Uniti e le portaerei americane. Quasi certamente anche Spagna, Belgio e Finlandia dovranno in futuro acquistare gli F-35 per rinnovare la loro dotazione di caccia. Una stima al ribasso prevede 50 interventi di manutenzione periodica all’anno a Cameri per velivoli non appartenenti alla flotta italiana: significherebbero 250 milioni di dollari di entrate annuali per il nostro paese. E mentre la fase di produzione e assemblaggio degli F-35 (se ne dovrebbero costruire in tutto 4 mila, 3 mila per i paesi partner e mille per gli acquirenti non partecipanti al programma) dovrebbe concludersi nell’arco di 15 anni, le attività di manutenzione e riparazione continueranno fino all’obsolescenza dei velivoli: 30-40 anni.

Verifica della bassa osservabilità
L’aeroporto militare di Cameri ha una tradizione di attività di riparazione e manutenzione: il 1° Reparto manutenzione velivoli lì insediato si occupa dei Tornado e degli Eurofighter. Attualmente tutti i nuovi fabbricati costruiti a Cameri – per un totale di 124 mila metri quadrati coperti realizzati nel giro di 24 mesi dalla Maltauro di Vicenza – sono dedicati alla produzione e all’assemblaggio dei velivoli. Il sito può essere considerato suddiviso in tre aree: a sud le strutture per la costruzione dei set alari, al centro quelle per gli elementi comuni, a nord l’assemblaggio vero e proprio dei velivoli. In quest’ultima area le piattaforme di allestimento saranno alla fine quattro: la terza entra in funzione a febbraio, la quarta a giugno. Mentre in America la produzione si svolge lungo una “mostruosa” catena di montaggio lunga 1.800 metri (e al forsennato ritmo di 21 velivoli al mese), a Cameri si svolge secondo il metodo della step line, cioè in baie di lavoro: si completa un’attività specifica sul velivolo, poi lo si passa alla baia seguente. È un sistema più lento, ma che permette maggiore flessibilità. A partire dal 2015 Cameri attiverà la sua funzionalità Mro&u, e da quel momento 5 baie saranno dedicate esclusivamente a tali interventi, altre 11 continueranno a lavorare alla produzione delle componenti alari e all’assemblaggio dei velivoli. Attualmente sono in fase di assemblaggio i primi due F-35 destinati all’aviazione militare italiana. Voleranno per la prima volta nella seconda metà del 2015. Quello sarà l’appuntamento finale di una lunga storia, iniziata nel 1996 quando l’allora ministro della Difesa Beniamino Andreatta (primo governo Prodi) volle che l’Italia fosse paese osservatore nel programma Jsf (Joint strike fighter) che gli Stati Uniti avevano avviato, proseguita con la firma alla fine del 1998 (governo D’Alema) del “Memorandum of Agreement” per partecipare alla fase di concept demonstration, quando ancora in America la gara era aperta fra Boeing e Lockheed Martin per la progettazione del nuovo caccia. Nel 2002, al tempo del secondo governo Berlusconi, col parere positivo delle Commissioni Difesa della Camera e del Senato venne decisa la vera e propria partecipazione italiana alla fase di sviluppo con un impegno di spesa di 1.028 milioni di dollari (4 per cento di tutti i costi del programma fino al 2012). Nel 2007 (secondo governo Prodi) è stato sottoscritto il “Memorandum of Understanding”, decisione definitiva che ha visto l’Italia diventare paese produttore dell’F-35.

Quanti lavoratori impiegati
Nel 2009 (quarto governo Berlusconi) il Parlamento ha autorizzato l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35, poi nel 2012 il numero è stato ridotto a 90 dal ministro della Difesa Di Paola (governo Monti).
Il ridimensionamento del programma non ha rallentato le operazioni a Cameri, dove a regime lavoreranno circa 2.000 unità di personale di tutti i tipi. Calcolando l’indotto, i fornitori e i sub-fornitori, si stima che fra le 6 mila e le 8 mila persone lavoreranno per gli F-35. Al momento attuale nei capannoni sono presenti 4 mila attrezzi specifici e 4.900 attrezzature non specifiche. Strutture e strumenti provengono anche da numerose imprese italiane. Una passeggiata dentro agli stabilimenti lascia notare le sigle di Oma, Ncm, Ompm, Omi, Lma, Alfa Meccanica, Bertolotti, Cerrato, Rev Aviation, ecc. All’audizione presso la IV Commissione Difesa della Camera nell’ottobre scorso l’amministratore delegato di Finmeccanica Alessandro Pansa ha dichiarato che la partecipazione italiana al programma F-35 «porta a casa dal punto di vista complessivo ricavi potenziali per circa 10 miliardi di dollari (7,3 miliardi di euro, ndr), con circa 90 aziende italiane coinvolte», con contratti già stipulati per «715 milioni di dollari, 565 dei quali per Finmeccanica». Le possibilità di espansione restano intatte.

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