«Vediamo se questi “cinematografari” hanno qualcosa di vero da dire»

Mi ricordo tutto: Gigi in mezzo a una montagna di scartoffie libri giornali che mi ascolta e poi mi dice: «Vai, vai. Scrivi, vedi tutto, mandami tutto!»

Ciao Lele, quanto dolore oggi! Ma anche quanta bellezza: tutti questi ricordi di Gigi che leggo da stamattina sono bellissimi e mi riempiono il cuore di commozione anche perché si sovrappongono ai miei di ricordi e questo, tutta questa mole di umanità e di amicizia che stai documentando, in qualche modo, mi consola.

Anche io, come tanti altri, sono stato “toccato” da Gigi. Mi ricordo come fosse ieri il mio incontro con lui, avvenuto a fine anni 90, quando si stava ancora in Via Canova. Tu, nel ruolo di sponsor del sottoscritto, un po’ cialtrone, sicuramente appassionato delle cose del cinema, ma anche un ragazzotto un po’ sbruffoncello che sognava di fare il critico.

Mi ricordo tutto, perfettamente: Gigi in mezzo a una montagna di scartoffie libri giornali che mi ascolta il mio discorso bislacco su quel che volevo fare da grande e sulle attrici/donne della mia vita e mi dice con l’impeto che poi mi sarebbe diventato famigliare: «Vai, vai. Scrivi, vedi tutto, mandami tutto!».

Così sono partito in questo lungo peregrinare tra festival, anteprime stampa, e film più o meno buoni. E lui mi ha sempre accompagnato, con il suo modo di fare diretto: sempre a gamba tesa, sempre a pungolarmi, tipo quando litigavamo per un film (che lui ovviamente non aveva visto) e pretendeva pure di avere ragione. Magari ci scontravamo, ma lui alla fine ci vedeva sempre qualcosa in più di me.

Aveva questo impeto, che ora mi trovo cucito addosso, per cui contava innanzitutto la lealtà di fronte al dato della realtà. Contava di più la disposizione del cuore rispetto alle cosiddette competenze. Così grazie a lui, ho fatto della passione il mio lavoro e ho dato “forma” a questo fuoco che bruciava dentro allora e mi infiamma ancora.

Ha ragione Rodolfo: Gigi non era mai implacabile col limite altrui. E, nel mio caso, il suo sguardo gigantesco su di me era un mix di pazienza, slancio e anarchia. Era la molla che mi ha spinto a viaggiare per tutti questi film e anche il punto di approdo a cui ritornavo sempre. Come quella volta che mi chiamò a Venezia, al mio primo festival per Tempi e mi disse: «Non voglio prediche. Voglio il fuoco della vita, voglio vedere se questi “cinematografari” hanno qualcosa di vero da dire».

Simone Fortunato

Foto Ansa

 

 

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