Vedere il mare dopo tre anni e mezzo. Tre anni e mezzo, capite?

La mia prima vera gita è stata il 6 agosto 2009. Era un po’ di tempo che avevo quasi perso la speranza di uscire, anche se era grande il desiderio di riprendere una vita “apparentemente” normale. Così, quando sono riuscita a dimostrare a babbo (il dottor Demetrio Vidili) che, invece di peggiorare, stavo migliorando, l’ho convinto che ero pronta per la grande avventura. Povero babbo, se ci penso, ha davvero avuto tanta pazienza con me. Credo che se qualcuno gli avesse fatto il lavaggio del cervello, avrebbe sofferto di meno.

In ogni caso: evviva! Potevo finalmente uscire da casa. Ma non dovete pensare che tutto è avvenuto in un battibaleno, anzi. La preparazione, l’arrivare ad essere “pronti” per poter varcare l’uscio di casa e tornare al sole è stato un processo lungo e faticoso. A questo proposito vi vorrei dire che non esiste conquista senza sacrificio, pazienza, caparbietà e – soprattutto – uno scopo chiaro cui mirare. È come per i muratori che costruiscono le case: sudano e s’affaticano (sacrificio), provano e riprovano (pazienza), non s’arrendono ai primi insuccessi (caparbietà) e – soprattutto – sanno quel che vogliono e come lo devono fare (la casa, lo scopo). Ecco, diciamo allora che anche io ho costruito una casa. La casa ero io stessa, la casa era la mia libertà, la casa era la mia voglia di vivere e di non arrendersi mai alle circostanze avverse (lo sapete, no? Ho pure accettato di fare la tracheo).

Così babbo ha ordinato una carrozzina che, per prepararla, c’è voluto tanto tempo quanto quello per progettare il ponte sullo stretto di Messina. Per progettarlo, ho detto, perché per la realizzazione ci hanno messo meno (rispetto al ponte, che ancora non c’è): “solo” 18 mesi. Che poi, diciamo la verità, mica si trattava di una Ferrari, anzi, non andava bene per niente. Ma almeno mi ci potevo muovere. Quindi… andava benissimo.

Prima tappa: il mare. Mio dio, il mare! Siamo andati vicino a Sassari, a Platamona e Balai, dove c’è la chiesetta. Non vi dico la mia euforia, mia (ovviamente) ma anche del babbo e di tutti gli accompagnatori. Il “gruppo vacanze” (come lo chiamavo io) era nutrito ed è stata una giornata indimenticabile. Dall’ultima volta che avevo visto il mare erano passati tre anni e mezzo. Tre anni e mezzo, capite? Era la prima volta che lo rivedevo dopo l’arresto respiratorio. Ma, poiché la vista è solo uno dei sensi e poiché “chi si accontenta gode” è un proverbio da citrulli, io ho chiesto di toccare l’acqua del mio adorato e sconfinato mare. Così babbo ha riempito un guanto e mi ha bagnato la testa e le guance.

Quella è stata la prima e io poi ci ho preso gusto (da allora, ogni volta che esco, annoto qualche appunto, come farebbe una fidanzata gelosa dei suoi più intimi sentimenti). Tra l’altro, ora mi tocca svelare un piccolo segreto. Il dottor Vidili, dopo averci concesso di uscire “da sole”, si è sempre molto raccomandato di fare delle gite nei dintorni di casa. Ecco, ehmm, come dire?, diciamo che ho preso in senso alquanto estensivo il termine “dintorni”. Babbo, perdonami, lo so che lo farai anche questa volta. Le prime volte siamo state abbastanza ligie alle tue consegne, ma poi, sai com’è, “e andiamo a vedere quello”, ” e poi c’è quell’altro”… insomma, diciamo che non ci siamo limitate proprio a fare il giro del perimetro di casa.

Insomma, qualche marachella l’abbiamo combinata con queste nostre uscite non autorizzate. Come quella volta che al centro commerciale il respiratore ha fatto suonare tutti gli allarmi del mondo o quell’altra volta che, in giro per strada, sono finita col sedere per terra a causa di un tasto che non andava pigiato. E parevo come una di quelle tartarughe che finiscono schienate e non riescono più a rialzarsi, tanto che non si sa se bisogna chiamare i pompieri o la protezione animali.

Ma ogni gita, ogni volta, è stata un piccolo grande evento per me. Come quella volta che siamo andate a vedere i presepi itineranti di papa Wojtyla e – sarà stata per l’intercessione di quel sant’uomo – è andato tutto bene! O quell’altra volta ad Alghero (città meravigliosa) o quell’altra a Platamona o quell’altra volta ancora che abbiamo visto a Sassari i  “giganti di Monti Prama”, dei giganti in pietra antichissimi ritrovati da un contadino tantissimi anni fa, e che hanno ricomposto al centro restauri della città. E poi ci siamo fermate a casa di Maria Grazia e Gino, e il dottor Vidli ha concesso uno strappo alla regola del “rincasare sempre”, solo perché Ica e Ginettino sono due degli infermieri che da sette anni mi hanno adottato nel reparto di Rianimazione e Anestesia.

Insomma, la faccio breve, altrimenti starei qui per giorni a raccontarvi ogni volta che sono uscita a vedere il sole. Ma dovete guardare in profondità anche a questo mio solo apparentemente banale elenco di gite. E dovete immedesimarvi in me. E gustare come me della sorpresa che ogni volta inonda il cuore nel ricoprire, vedere, gustare tutto il bello che c’è su questa Terra (e, nello specifico, in Sardegna). Ditelo a tutti. Ditelo, soprattutto, a tutte le altre “Susanne” che sono malate in Italia. La regola d’oro è una sola: approfittare di questa grande occasione che è la vita.
E quando uscite con questo caldo con qualcuno dei vostri amici malati, state bene attenti a non far loro prendere qualche colpo di sole. Mica che vi diventino più matti della vostra amica Susanna.

Bacioni,

Susanna

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