Ve lo ricordate il megascandalo Morisi?

Spenti i riflettori sulla vicenda del collaboratore di Salvini è più facile capire il vero intento di quella gogna: colpire l'avversario politico prima delle amministrative

Luca Morisi sul palco di una manifestazione della Lega a Roma, nel 2019 (foto Ansa)

Un megascandalo, poi rivelatosi un buco nell’acqua, costruito ad arte per distruggere la reputazione di uno dei più stretti collaboratori di Matteo Salvini. La vicenda che ha coinvolto Luca Morisi, l’ex social megafono del leader leghista, dimostra come i mainstream media, spesso ritenuti imparziali e giusti, possano dar vita a gogne. Proprio come le bestie presenti sui social media continuamente denunciate da non pochi opinionisti.

Certo, il metodo è diverso ma il risultato è simile. Il sistema Salvini utilizzava spregiudicatamente le dinamiche dei social per bastonare digitalmente gli avversari; la macchina del fango architettata sulla stampa è stata invece alimentata da interviste, chat di WhatsApp e titoloni (Morisi, ‘’droga dello stupro’’, Salvini sempre più solo; Morisi: ascoltatemi. Il ragazzo racconta: ‘’ore di sesso e droga’’) per destare impressione e scandalo. E soprattutto per fare a pezzi l’immagine pubblica di Morisi.

Il lavoro della Bestia

La Bestia social della Lega sfruttava l’elevato engagement delle pagine Instagram, Facebook e Twitter dell’ex ministro degli interni per screditare gli avversari. Grazie alla possibilità di interagire con i post, il bersaglio scelto diventava oggetto di insulti e talvolta minacce da parte di un gran numero di utenti.

Emblematiche le grafiche costruite ad arte per incentivare commenti e condivisioni contro alcuni ministri (si pensi ai post contro Luciana Lamorgese, Lucia Azzolina o contro Elsa Fornero) o per attaccare giornali e giornalisti di sinistra.

La vendetta

Un metodo che, unito alla nota strategia TRT (integrazione tra Territorio, Rete e Televisione), è stato particolarmente fruttuoso, considerate la pervasività del messaggio e la crescita elettorale di Salvini. Ma che si è rivelato eticamente discutibile. Sia per la spinta a una polarizzazione estrema, sia per i toni e i modi utilizzati che hanno senza dubbio abbassato il livello del dibattito pubblico, contribuendo a trasformarlo in una rissa.

Non è affatto casuale che i media tradizionali, spesso bersaglio della Bestia, si siano vendicati non appena possibile. Perché quello di cui è stato vittima Morisi è stato un metodo bestia giocato con mezzi diversi.

L’obiettivo, spenti i riflettori e sgonfiato il caso, si è rivelato nella sua chiarezza: distruggere la reputazione di Morisi, vendicandosi dei torti subiti e colpire Salvini.

Niente più sui giornali

Lo scandalo è stato costruito sull’impatto emotivo della droga dello stupro che Morisi avrebbe ceduto ai due escort romeni che lo avevano raggiunto nella sua abitazione. E così a una settimana dal primo turno delle amministrative, prima di qualsiasi condanna o certezza sull’accaduto, l’ex social media strategist è stato processato sui giornali.

Di più: sono state costruite interviste ad arte e sono state pubblicate delle chat per demonizzarlo e trasformarlo in un perverso stupratore tossicodipendente, dedito a illeciti traffici di droga.

Tuttavia, dopo la fase di piena, che ha portato il suo nome su gran parte delle prime pagine dei quotidiani, si è scoperto che la droga dello stupro era stata fornita dai due escort e che Morisi aveva solo della cocaina. Insomma, una semplice notte brava che sembra porterà all’archiviazione per Morisi. La ricostruzione completa dei fatti, che smontava i teoremi sbattuti sulle prime pagine, è però sparita dalle parti più rilevanti dei quotidiani ed è finita in taglio basso nelle pagine meno lette, secondo un metodo più che noto. A dimostrazione che l’obiettivo era la character assassination di Morisi e non un equilibrato racconto dell’accaduto.

Foto Ansa

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