L’utero in affitto è illegale ma «il fatto non costituisce reato»

Se il tema è dibattuto la norma non vale più. La tesi difensiva accolta dal tribunale di Bologna per assolvere una coppia che ha commissionato una maternità surrogata in Ucraina

Legge 40/2004, articolo 12, comma 6: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

Può tornare utile tenere a mente queste parole quando si apprendono notizie come quella riportata ieri da molti siti e agenzie di informazione. A Bologna una coppia che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata per ottenere un figlio è stata assolta perché – come ha riassunto per esempio la cronaca online del Fatto quotidiano, sezione “diritti” – «per il giudice il fatto non costituisce reato».

IL CASO E LA SEGNALAZIONE. «Sul banco degli imputati», spiega un articolo di repubblica.it, c’erano marito e moglie, 57 anni lui e 44 lei, «dal 2012 genitori di un bambino nato a Kiev, dove la pratica è consentita. La madre naturale è una donna ucraina con cui a febbraio 2010 sottoscrissero un contratto per poter impiantare nel suo utero, dietro pagamento di un corrispettivo, un ovocita fecondato con il seme dell’italiano». Insomma sui fatti non c’erano molti dubbi, c’era addirittura un “regolare” contratto (regolare in Ucraina, in Italia un po’ meno), e infatti «l’inchiesta era partita per una segnalazione dell’ambasciata italiana a Kiev al Comune dove il bambino è registrato, che ha avvisato la procura».

LA TESI. Davanti al giudice Sandro Pecorella, continua Repubblica, il pubblico ministero «aveva chiesto il minimo della pena». Ma la cosa sorprendente che tutte i giornali sottolineano è la tesi della difesa accolta dal tribunale. «Stavolta», scrive Marcello Palmieri per Avvenire, l’avvocato Giorgio Muccio «ha giocato proprio sul dibattito politico scaturito dalla precedenti pronunce: se qualcuno ha proposto di chiarire l’attuale norma, esplicitando l’esistenza del reato anche qualora sia commesso all’estero, allora significa che la legge non è per nulla chiara. Dunque nel dubbio bisogna assolvere». Detto altrimenti, nei termini di Repubblica, il legale «ha rilevato che recentemente sono stati depositati vari disegni di legge per modificare la norma e rendere perseguibili gli italiani che fanno ricorso alla maternità surrogata all’estero. Pratica che dunque, evidentemente, non sarebbe considerata illecita con le attuali normative». Evidentemente?

CHI È LA MADRE. Ma non è finita qui. I due coniugi erano accusati «anche del reato di alterazione di stato civile di minore», continua Avvenire. «Per la legge italiana, infatti, madre è colei che partorisce. Non certo chi stipula insieme al marito un contratto per ottenere un bimbo con il seme di lui, gli ovociti di un’altra donna, e il ventre di un’altra ancora». Anche su questo, però, il tribunale di Bologna non ha trovato da ridire, anzi, «ha sostenuto che il certificato di nascita era stato validamente redatto secondo la legge del paese estero. Dunque l’Italia avrebbe dovuto riconoscerlo a norma del diritto internazionale».

ORDINE PUBBLICO. Commenta Palmieri: «In effetti questo afferma la legge invocata, ma con un limite: quello dell’ordine pubblico. Se infatti l’atto estero contrasta con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento, in patria non può valere. E che il divieto di maternità surrogata sia di ordine pubblico l’ha detto chiaramente la Corte di cassazione, massima magistratura a cui dovrebbero uniformarsi tutti gli organismi giudiziari inferiori, tribunali in primis».

L’INTERESSE DEL MINORE. Tra l’altro nella stessa sentenza, la numero 24001/2014, il supremo tribunale secondo Avvenire «confuta» anche «l’obiezione per cui, una volta ottenuto, il miglior interesse del minore sarebbe quello di rimanere con chi l’ha “comprato”» e «chiarisce che in verità la massima aspettativa del bimbo è quella di esser dichiarato figlio di coloro che sono genitori per legge: dunque padre e madre o biologici, o adottivi. In ogni caso, non di coloro che hanno prodotto la nuova vita attraverso un contratto commerciale».

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