Utero in affitto. Così si comprano i bambini

Una giornalista del Corriere della Sera, Monica Ricci Sargentini, ha preso un appuntamento in una clinica californiana per avere un figlio con una madre surrogata. «È facile», scrive. Basta compilare un modulo ed è subito fatta.

Per chi volesse capire cosa sia l’utero in affitto nei ricchi paesi occidentali la lettura del Corriere è assai significativa. È una cronaca senza aggettivi di quel che realmente avviene nel mondo della surrogacy. Solo fatti, risposte dal mondo «dove ogni desiderio sembra a portata di mano». A porta di mano ma non gratuito. A portata di mano ma non terribilmente e mellifluamente mefistotelico.

C’è la cortesia dell’addetta al ricevimento dei “potenziali genitori”:

«Voi non dovete preoccuparvi di nulla, pensa a tutto il dottor Jain. Se non potete venire dall’Italia possiamo sentirci su Skype. Se al momento del parto avete un impedimento andiamo in clinica io e l’avvocato per prenderci cura del neonato»

C’è il catalogo:

«Ce ne sono di tutti i tipi: bionde, brune, ricce, lisce, nere, asiatiche, bianche. Nella scheda sono segnate età, altezza, peso, colore degli occhi, scuole frequentate, voti ottenuti, passioni e hobby».

Ci sono le rassicurazioni legali:

«La mamma sei tu, lei è la portatrice. E sei tu che decidi tutto, anche se farla abortire. La legge ha più volte stabilito che lei non ha alcun diritto. Sarà scritto tutto nel contratto che firmerete con l’avvocato. Una volta fatto l’accordo si va dal giudice e si fa un atto di prenascita così è già chiaro che siete voi i genitori. Il bimbo, se volete, avrà la cittadinanza americana».

Ci sono le rassicurazioni sulle donatrici:

«Le nostre ragazze hanno fatto tutti i controlli medici possibili. Potete stare tranquilli.Le nostre sono tutte della zona, facciamo uno screening accuratissimo, andiamo a vedere dove vivono, come mangiano, controlliamo la fedina penale e poi le sottoponiamo a screening psicologi. Siamo molto, molto severi per evitare sorprese dopo. Solo il 10% delle domande viene accettata»

Ci sono i soldi:

«Beh è un gesto ben visto dalla società perché è altruistico, per aiutare una coppia in difficoltà e poi chiaramente per i soldi che per legge non devono servire a sopravvivere ma a stare meglio. Una surrogata non può essere senza casa o dipendente dai sussidi dello Stato».

E c’è l’affare:

«Io ho già una portatrice ready to go che se dovessi fare io questo percorso prenderei subito. È lesbica, molto coscienziosa ma non ansiosa. Perfetta secondo me. È alla prima gravidanza surrogata ma ha già due figli suoi. Tieni conto che le surrogate che l’hanno già fatto costano di più, vedi qui sul catalogo c’è scritto premium vuol dire che sono le più gettonate. Molti preferiscono una portatrice lesbica perché non ha rapporti sessuali con penetrazione e in gravidanza è sempre meglio evitare».

«Parliamo di soldi che sono in tre tranche. Per la donazione di ovuli ci vogliono quasi 40mila dollari. Per la madre surrogata si parte con 58mila cui si devono poi aggiungere altri 77mila per un totale di 135mila dollari. La portatrice prende un compenso a ogni passo: alla prima iniezione, al transfer, alla conferma del battito, per i viaggi, per i vestiti e una paghetta mensile. In tutto nelle tasche della donna entrano 40mila dollari».

Tutto fatto con la massima serietà. E nessuno che ti chiede “perché” lo vuoi, quel figlio. Bimbo chiavi in mano, saltando tutte quelle noioso pratiche cui invece ci si deve sottoporre se lo vuoi adottare:

«Due minuti dopo arriva l’email con la password per scegliere la donatrice di ovuli».

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