Un sorso di Falerno, il vino amato dai romani. E non solo

Il Falerno del Massico è probabilmente l’area vinicola più particolare della Campania. Un momento, fermi tutti: chi ha fatto il liceo classico (e non solo), probabilmente leggendo “Falerno” ha avuto un sussulto. Sissignori, la vostra memoria non v’inganna: il Falerno era il vino rosso dei romani, quelli antichi. Piaceva. E i poeti e scrittori dell’epoca, crapuloni quant’altri mai, ne raccontavano la bontà con dovizia. Orazio più volte decantava la sua passione per questo nettare, vino che preferiva di lungo invecchiamento. Cicerone, invece, meno propenso alle sbornie felici, lo amava più giovane. Virgilio poi non riuscì, nemmeno lui, a evitarne uno sperticato elogio.
Ora, come fosse il vino nell’antica Roma non è dato sapere. Sicuramente non avevano le pratiche di cantina evolute che ci sono oggi. E le conoscenze di botanica, agronomia ed enologia erano quelle che erano. Tuttavia, a noi piace immaginare il vino Falerno dei nostri progenitori nei bicchieri di alcuni produttori attuali.

Ad esempio,
Gennaro Papa e suo figlio Antonio. Falciano del Massico (Caserta) è nel cuore della zona storica di una DOC (appunto, Falerno del Massico) che ha circa 25 anni di vita, ma la cui storia e tradizione in realtà è antichissima, come ricordavamo. Una zona particolare: qui, oltre ai vitigni tradizionali campani (aglianico su tutti), c’è una lunga consuetudine con il primitivo. Sì, quell’uva la cui patria più famosa è la Puglia. Il primitivo dà luogo a vini maschi, robusti, tondi e concentrati. Oggi i vini concentrati, specialmente se in modo artificiale, non sono più di moda. Ma il Falerno è sempre stato così, non ha mai ubbidito ai capricci effimeri. Era così una volta, è così oggi, sarà così anche domani: come un intramontabile abito da uomo cucito da un sarto napoletano, coi risvolti larghi e la manica a tromba.
Antonio, figlio di Gennaro, è coinvolto direttamente nella produzione. Da una famiglia che si chiama Papa, è ironico bere un vino che si chiama Conclave. Eppure, eccolo qui, con la sua etichetta bianca. L’annata 2010, saggiata a Vinitaly, dice parecchio: il colore è rosso, sugoso, profondo. Il profumo è una sinfonia di frutta densa e sciropposa, con ricordi floreali che si perdono sullo sfondo. E in bocca è placido, largo, capace di svilupparsi sia in verticale sia in orizzontale, per così dire. Molto persistente. 

E sì che questo è il fratello minore. Il maggiore è il Campantuono, che esce addirittura con un’annata 2008, ossia con cinque anni d’invecchiamento. La bottiglia non è ancora in commercio, l’abbiamo provata in anteprima, ma già adesso è uno spettacolo, e i suoi tocchi grezzi fanno ancor più apprezzare un vino che sa di antico, nella sua potenza immensa ma non ostentata. Ricorda certi inimitabili campioni di Michele Moio, il viticultore a cui tutti, in questa zona, devono tanto. L’annata 2007, quella dell’anno scorso, è più assestata, ma sempre dirompente nei suoi toni balsamici e nel sorso cordiale, amichevole, come l’abbraccio forte di un vecchio amico.
Accostamenti? Vini così vogliono grandi piatti di carne, anche succulenti: la trama tannica in questo caso è fondamentale. Oppure, qualche strepitoso pecorino stagionato, magari di Bagnoli o addirittura della Basilicata. Nunc est bibendum. Prosit.

Per info:
Azienda Agricola Gennaro Papa
P.zza Limata, 2 – Falciano del Massico (Caserta)
Tel. 0823931267

@farinatommaso

tommasofarina.com

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