Un modo nuovo di concepire (da cristiani) la lotta di classe

Sciopero degli operai Renault a Boulogne-Billancourt, Parigi, nel maggio 1968 (foto Ansa)

Terza e ultima parte della sintesi delle relazioni tenute al Convegno nazionale di Comunione e Liberazione Lavoratori (Cll, una delle realtà all’origine del Movimento Popolare) che si svolse a Riccione fra il 7 e il 9 dicembre 1973. Le uscite precedenti della serie sono reperibili in questa pagina.

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Affermare e vivere ciò che viene prima, cioè l’identità cristiana e l’aggregazione che essa genera in fabbrica e negli altri luoghi di lavoro, perché l’istanza di liberazione del movimento popolare e contadino non sia recuperata e sfigurata dal potere e perché la lotta di classe non sia idealistica o meccanica. Questo è il senso dell’ultima relazione al Convegno nazionale di Comunione e Liberazione Lavoratori (Cll) che si svolge a Riccione fra il 7 e il 9 dicembre 1973, tenuta da Carlo Buora, allora responsabile di Cll.

«La risposta iniziale alla domanda che cosa deve fare il cristiano in fabbrica è il ricordarsi, vale a dire, far memoria attuale di quello che è, vivere la propria identità di cristiano», esordisce Buora. «Conseguenza immediata, non differita di questo è cambiare il tipo di rapporto che si intratteneva con ciascun compagno in particolare e con l’insieme della fabbrica o dell’ufficio. La capacità pratica, reale che ciò avvenisse dall’oggi al domani fu la verifica entusiasmante e inaspettata che molti fra noi fecero, quello che oggi indichiamo come la prima esperienza di liberazione».

Un’esperienza di liberazione per tutti

La prima implicazione di questa esperienza di liberazione è il riconoscimento fra cristiani in fabbrica:

«Cll non ha proposto ai cristiani una linea politica comune su cui fondare una unità, ma al contrario ha proposto di riconoscere nella propria vita di cristiani proprio quella liberazione e quella unità. Ciò non vuol dire che Cll non esprima indicazioni politiche, vuol dire invece che la esperienza di unità dei cristiani è già un fatto politico, cioè di liberazione».

La seconda implicazione è che la comunità cristiana sta in fabbrica in funzione della liberazione di tutti:

«Il cristianesimo non era ciò che restava dopo aver tolto i problemi sindacali, i problemi politici, dopo aver tolto lo sforzo di liberazione dell’uomo, ma anzi è ciò che rende vero, stabile e pieno questo sforzo di liberazione. Come? Non dando buoni consigli, ma immettendo un fatto nuovo che genera idee e modi di azione nuovi all’interno delle vicende e delle lotte della fabbrica. […] Allora abbiamo iniziato a partecipare con occhi nuovi agli scioperi per i contratti nazionali di categoria».

Una presenza e dei gesti nuovi

Dopo un capitolo dedicato alle “scuole di fabbrica”, la relazione torna sulle questioni di metodo:

«Recupero dell’identità cristiana e riconoscimento con gli altri cristiani sono state le tappe che ci hanno consentito una presenza e dei gesti nuovi. Questa nostra esperienza ci ha fatto comprendere un punto fondamentale per l’inizio di una liberazione e di una lotta di liberazione all’interno del mondo della produzione. Il metodo che noi abbiamo seguito (una vita nuova da subito che nasce dal riconoscimento di una tradizione di unità che ci precede – è questo quello che noi chiamiamo aggregazione) non solo vale per noi, ma per chiunque abbia una vita da difendere. Nella realtà di fabbrica manca una vita vera e si ritiene che non sia una gran mancanza: la nostra critica al sindacato […] vuol dire esattamente questo. […]

L’aggregazione cristiana, la comunità cristiana, è una aggregazione che favorisce e riconosce tutte le altre esperienze di questo tipo. Per questo ci siamo accorti che esiste qualcuno a cui una vita vera sta ancora a cuore e quel qualcuno, oltre a noi cristiani, è l’unità di popolo […]. L’esperienza di liberazione che è la comunità cristiana ci permette di riconoscere nella vita dell’unità di popolo, spaccata, rovinata e intristita dall’imperialismo, ma non sottomessa, una reale esperienza di liberazione assieme alla quale riiniziare la resistenza a questa società».

Che cos’è l’aggregazione

Il significato della proposta dell’“aggregazione” viene ulteriormente precisato:

«Rapporti nuovi vuol dire riacquistare un senso e un gusto nuovo della vita, una passione per il bisogno e per la contraddizione in cui sono tutti, ma anche una passione per il desiderio di unità, spirituale e materiale, di tutti gli uomini. Proprio per poter meglio precisare l’intuizione sui rapporti nuovi abbiamo usato il termine aggregazione. Aggregazione indica una unità, un coinvolgimento fra diverse persone sulla base del riconoscimento di un desiderio che li costituisce realtà solidale: la comunità cristiana è un tipo di aggregazione che favorisce anche le altre. L’aggregazione è l’esperienza di vita in comune dentro la situazione di lavoro che diventa resistenza, e quindi lotta, per non lasciarsi integrare dalla forma del potere in atto, qualunque esso sia. L’aggregazione è la prima esperienza di liberazione in quanto è in grado di restituire l’identità, cioè il senso dell’esistere, lo scopo di una lotta e il gusto di una costruzione. Inoltre, aggregazione indica lo sforzo di superare una situazione di disgregazione, di divisione, di dolore in quanto è proprio il tentativo di porre la esperienza di liberazione all’interno della situazione della produzione, fabbrica, reparto, ufficio, cioè nel luogo oggi politicamente privilegiato di esercizio della contraddizione».

Un uso diverso delle battaglie sindacali

A queste condizioni, Cll accetta il concetto di lotta di classe:

«Lotta di classe è per noi lotta per l’abolizione del rapporto umano e sociale fondato sulla divisione in classi, il che vuol dire lotta al capitale come modo di rapporto fra gli uomini e quindi di produzione. Allora l’aggregazione è la sconfitta di fatto di questo tipo di rapporto, è il luogo dove un inizio di liberazione, cioè una vita da subito, irrompe e lentamente educa ad un tipo di rapporto diverso. L’aggregazione è pienamente lotta di classe e dobbiamo denunciare come idealista o meccanico, cioè non adeguato al desiderio di liberazione dell’uomo, ogni altro tipo di accezione che non parta come punto solido da questo».

In conclusione,

«Bisogna affermare chiaramente che l’aggregazione cristiana o unità di popolo non può non farsi carico dei gesti tradizionali di lotte e di organizzazione», ma promuovendo «un uso diverso del sindacato come strumento di difesa delle aggregazioni e delle istanze che le aggregazioni pongono oltre che di difesa delle condizioni materiali, cioè salariali e normative dei lavoratori. È un modo nuovo di concepire il proprio delegato, il Consiglio di fabbrica stesso, lo sciopero, le proposte rivendicative, i rapporti col sindacato stesso. Questo modo nuovo dipenderà […] dal fatto che si chiede al delegato, al Cdf, al sindacato stesso di riconoscere come fatto da difendere una aggregazione di vita che si costituisca nella fabbrica e le istanze che essa pone».

(3. fine)

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