Un funerale esagerato, in perfetto stile amiconiano

I canti, le parole dei figli, il Salve Regina sul sagrato. Lettere su Gigi Amicone (con una proposta lanciata da un lettore a tutti i suoi contatti)

Funerale di Luigi Amicone, Duomo di Monza, 21 ottobre 2021

Caro direttore, il funerale di Amicone è stato davvero commovente. Duomo di Monza pieno, c’erano tutti: vecchie e nuove generazione del nostro popolo (gli amici di Gigi, noi suoi “figliocci”, gli amici dei suoi figli). Lo stesso popolo che, insieme, canta ancora una volta la sua liberazione. Canti bellissimi, i nostri canti. I messaggi letti in chiesa dai figli (troppo per me): lacrime, ma piene di gratitudine. Sul sagrato, alla fine, un Salve Regina nel silenzio della piazza che sembrava di essere in Cielo. Grato a Dio di averlo potuto conoscere. E profondamente grato a Gigi per la sua sorridente e irresistibile testimonianza di amore “folle”, eppure sempre così ragionevole, alla Verità. Un caro saluto a te e a tutti i ragazzi di Tempi.
Simone Finotello

Simone, è andata proprio così. Il Duomo strapieno, con tanta gente che, purtroppo, è rimasta fuori sul sagrato e ha potuto seguire le esequie solo online. Non è stato “troppo” solo per te, ma per tutti, in perfetto stile “esagerato” amiconiano. È stato un «avvenimento» per usare una parola cara a Giussani, in cui s’è visto cosa è quel movimento che Gigi tanto amava, e da cui è stato tanto amato.

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Caro Pietro, in questi giorni ti sto pensando molto. Ho letto tanti messaggi scritti per Luigi Amicone e mi rendo conto solo adesso, con la solita lentezza che mi caratterizza, di quanto sia stato profondo, ricco, intelligente. Per tanti tratti assomiglia al papà, non a caso Camisasca li ha paragonati. Per questo non riesco a immaginare quanto sia dura per te uno stacco così improvviso. Anche se piena di letizia, in fondo, la mancanza si sente. È stato una grande guida per voi, me ne rendo conto ora. Ha generato vite vere.
Però volevo anche dirti che ti invidio, perché hai saputo capire il grande respiro ideale che ha il giornale Tempi, hai fatto bene a insistere nel portare avanti l’impresa. Ti invidio perché siete amici, stranissimi amici, con la Marina Corradi che scrive dei vostri incontri notturni, o delle litigate con altri del Movimento. Io non ho mai ben capito di cosa parlavate quando parlavate tra voi alla Fraternità dei fatti politici, delle battaglie etiche, ma si capisce che siete alla ricerca della verità dei fatti, insieme, questo è un grande sostegno ed è giusto.
Vorrei anche dirti che se avete bisogno, per come posso e riesco, vi vorrei aiutare. Ti abbraccio e abbraccio tutti gli amici della redazione di Tempi.
Chiara Piccinini

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Quando ci hanno presentato ci siamo guardati diffidenti, ma con curiosità. Avevo 19 anni, una maglietta verde con una stella sopra e un’ansia tremenda. Poi è stato per me tante cose: un direttore che mi ha dato tantissimo, una figura paterna che mi voleva bene per quella che sono, un amico che mi veniva a prendere per i capelli. Non era uomo di teorie, che disprezzava assieme agli intimismi, ma di ideali verificati sulla sua pellaccia che quindi erano incrollabili. Non so se sono stata all’altezza della sua amicizia, con i miei egocentrismi, le mie intemperanze, le mie dimenticanze, e il mio pudore quando aveva le sue ansie, le sue tristezze e le sue profonde delusioni, come tutti. Di certo era davvero difficile essere all’altezza di un’umanità militante come la sua. Un istinto potente di dialogare e accogliere l’altro, una compagnia sparata in faccia come aria compressa.

Si interrogava continuamente, curioso, mai fermo. Sui giudizi era fulminante. “Non fare l’utile idiota del colonialismo imperialista”. “Cos’è un minuto di silenzio? È un minuto di tristezza senza risposta”. “Pensaci: è una comodità l’autonomia intesa come individualismo borghese, è una scomodità non rassegnarsi all’autonomia borghese”. “Chi sono i tuoi compagni di lotta?”. “Quando un uomo ha paura della realtà è già morto”. “Cosa ne pensi di una copertina tipo: le puttane vi precederanno nel regno dei cieli?”. “Bionda, l’angoscia è sintomo del reale come ciò che non inganna”. “Purché tu sia te stessa sempre, sempre sarai l’amica mia cara”.

Dal tono con cui rispondeva al telefono capivi subito se era uno di quei momenti in cui era alle prese con un’invettiva da 50 mila battute e quindi gli stavi sostanzialmente rompendo le palle e il flusso creativo. Era permaloso e vanitoso, come tutti i giornalisti, come tutti noi. Aveva fiducia nell’umano e credeva nel mistero, di una fede viscerale che si interessava di tutto, da san Paolo a Nietzsche passando per una birra coi fascisti, una grigliata coi comunisti, un dibattito con i radicali, e non basterebbe una vita per fare l’elenco completo. Mi ha sempre aiutato a essere libera.

Aveva il gusto allegro della provocazione, e una vena di spregiudicata mattità. Ha insegnato a una ventenne il senso critico, la noia per i santini. La bellezza profonda di certe litigate. Il rispetto per il dolore, l’importanza della sincerità ad ogni costo. L’inutilità delle etichette, non tutte. La letizia come resistenza umana. Che un bicchiere di vino in compagnia fa la differenza. Cose preziose. Che fatica senza di lui. Ma che fortuna, la sua amicizia.
Chiara Sirianni

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Caro direttore, oggi ho scritto alle persone con cui sono in contatto: «Tempi può essere considerato l’eredità che lascia Amicone: non è cosa da poco!». Soprattutto oggi in cui molta stampa è asservita, siamo in un momento di “normalizzazione” aggressiva, e mancano opinioni “non uniche”. E subito mi è venuta un’idea conseguente, e ho riscritto a tutti «Vorrei lanciare un invito, per onorare Amicone: chi non si è ancora abbonato a Tempi si abboni “adesso”. Renda evidente adesso la crescita in abbonati. Come segno evidente, proprio in questi giorni, della generatività di Luigi». Ho scritto agli affezionati, a chi poteva capire la genuinità di questa proposta che viene appunto dall’affezione e da un ideale. Mi piacerebbe diffondere questa proposta di onore a Luigi e vi scrivo nella speranza che chi ci legge voglia farla rimbalzare nei suoi contatti.
Riccardo Cazzaniga

Riccardo, grazie. Qui in redazione ci abbiamo pensato un po’ se pubblicare questa tua email. Ci siamo fatti mille scrupoli, “ma sarà il caso?” ci dicevamo tra noi, un po’ titubanti. Poi ci è tornata in mente la lettera che Amicone scrisse agli abbonati per sostenere Tempi in un momento di difficoltà in cui chiedeva «una “manona” da 1.000 euro mille». Insomma, se fosse qui, Gigi ci direbbe: «Non fatevi scrupoli da pirla, Riccardo ha avuto una grande idea. Siate lieti di quel che accade, e basta». Quindi, grazie ancora.

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Caro direttore, ieri sono andato al funerale del nostro amico Gigi e, appena entrato nel Duomo, ho trovato sulle sedie il libretto con le letture e i canti della Messa. L’ho sfogliato velocemente e ho trovato tra i canti la canzone “Padre” di Chieffo: mi sono messo a sorridere e poi qualche lacrima mi è uscita dagli occhi. Ci avrei scommesso di trovare questo canto, la storia non si può cambiare. Ho conosciuto Gigi al Molinari, lui simpatizzante di AO e io appassionato delle canzoni di Ivan Della Mea (Chieffo non lo conoscevo ancora) e poi ci siamo ritrovati nella Comunità cristiana del Molinari che poi divenne Cl. Ho imparato i primi canti del movimento proprio da lui che li cantava nei nostri incontri e vacanze (mitica quella a Sant’Anna del Bellino) e nel tempo avevo capito che il “Padre” era tra le sue preferite e lo era anche di un altro nostro grande amico che ci ha lasciato alcuni anni fa: Franco Fierotti. Dopo questi anni alle superiori ci siamo persi di vista: io Agraria e lui Scienze Politiche, ma poi una sera di qualche anno fa ci siamo rivisti al banco delle verdure di un supermercato, che bello e che entusiasmo nel rincontrarci e in 5 minuti dirci la storia della nostra vita dall’Università in avanti e scoprire quanti amici in comune avevamo. Ci siamo poi risentiti per alcuni articoli per Tempi e per un progetto poi non partito. Che strano, non ci siamo più visti e sentiti per decenni, eppure avverto uno smarrimento, come quando ci lascia una persona che ci è vicino tutti i giorni, una persona determinante per la nostra vita, una persona cara e lui, lo scopro ora, lo era e lo è. Tutti in questi giorni ci hanno testimoniato la sua “ingenua baldanza” ed è vero, così ricordo anch’io il suo entusiasmo per la vita e sento vere per lui quelle parole che ci diceva don Gius: «L’entusiasmo della dedizione è imparagonabile all’entusiasmo della bellezza. Il nostro sì a Gesù nasce infatti dall’attrattiva che Lui è. E così è possibile dire sempre sì, perché il sì coincide con una domanda: ‘Vieni”».
Tiziano Pozzi

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Abbiamo conosciuto Luigino Amicone grazie al nostro centro culturale. Un’esplosione di amicizia, un intendersi al volo per ciò che si voleva fare, titolo, contenuto, ospiti.

Luigino: un tipo di cui fidarsi perché a sua volta si fidava, da pochi indizi comprendeva tutto. Uno con il bernoccolo dell’umano.

Con Luigino, attraverso di lui abbiamo incontrato in questi anni decine di persone che ci hanno fatto crescere, meravigliare e essere certi e contenti di quello che serve per diventare più se stessi: conoscere e vivere il significato del nostro esistere. L’essere stati voluti, presi, tratti dal nulla.

Incontrando queste persone si diventava amici subito perché insieme si voleva, si vuole la stessa cosa.

Luigino ci ha insegnato questo, non avere paura di nulla, di osare perché se Dio si è fatto uomo tutto è possibile!

Si usa questo criterio anche nel lavoro quotidiano andando a cercare con fatica la verità delle cose. E siamo, stiamo diventando grandi e riconoscenti.

Ricordo un fatto personale di 14 anni fa. L’azienda mi chiede di espatriare per 2 anni (poi sono diventati 3 anni) in Cina, a me perché avevo risposto a questa eventualità: e perché no? Sento in famiglia (Giovanna e 2 figlie piccole), gli amici del Péguy. Una possibilità professionale e umana incredibile ma la condizione familiare impone di recarmi laggiù senza di loro, un espatrio solitario. Anna, la figlia più grande, dopo la scelta aveva pianto durante tutta la gita scolastica nel vedere il nome della azienda sui cartelloni pubblicitari. E Luigino, invitato da noi una sera al Péguy per sentirne il giudizio, esclamò: «Dì a tua figlia che lo fai per Cristo, la gloria umana di Cristo: questo è lo scopo del nostro agire, stare in Italia o andare in Cina».

Ho imparato così in questi anni che cosa è l’unità della persona che ci rende liberi: Luigino ci ha fatto scoprire e vedere questo. Non ci sono abbastanza parole per ringraziarlo, serve solo la memoria di Luigino, segno del Mistero che ci riprende e fa cambiare in ogni istante.

TVB Luigino

Ps. Apri l’email, scrivi “luigi”, e il primo indirizzo è il suo.Ti viene dentro una tristezza e insieme una certezza: il suo sorriso, la sua voce, la sua voglia di fare casino, di ridere di gusto perché ci siamo, voluti ancora, cercati e non lasciati tranquilli.

Pellizza e il Centro Culturale Charles Péguy Alta Brianza

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