Un fiotto di umanità inaspettato nella sentina di un ospedale statale

Come dice Scola, il popolo cristiano «non è più un albero rigoglioso, e tuttavia le sue radici sono ben vive. E finché le radici sono vitali, l’albero può tornare florido». Ecco il tema

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nella morgue dell’ospedale pubblico di Verbania e dalla viva voce di sorella Rita e di suo marito Ermes, lumpenproletariat che per quasi due anni hanno portato sulle spalle la modernamente e borghesemente insopportabile malattia del nostro Anchise, ho avuto apprensione di cose che ascolterò la sera stessa e la mattina successiva da autorevolissimi prelati di Santa Romana Chiesa. Dal cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola, nella sua Messa di commiato da Milano. E dall’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, nell’omelia per le esequie del suo predecessore cardinale arcivescovo Carlo Caffarra. Già, chi avrebbe mai detto che avremmo trovato in una sala di rianimazione geriatrica l’anestesista laica che condivide la stanchezza di una figlia («e per favore, vada a casa, non la lascio dormire su una sedia, resto qua io»), chiama il prete perché venga impartita l’estrema unzione e lei per prima recita sul morto una preghiera cristiana? Chi avrebbe mai pensato di trovare i paramenti sacri del lutto nella ghiaccia sentina di un ospedale statale?

Dunque, è vero, a ben guardare la faccia anche di un solo spicciolo di quotidianità, non è soltanto la Chiesa milanese che, «al di là di tutte le rilevazioni statistiche, è ancora, nelle sue radici, una Chiesa di popolo»; non è soltanto a un principe della Chiesa cattolica che dobbiamo rendere «grazie per gli infiniti legami di amicizia, coltivati sempre con profondità e intelligenza evangelica, combattendo la battaglia mai contro gli erranti, ma contro gli spiriti del male». È vero che popolo, amicizia, gratitudine per il tanto bene di persone che c’è, non sono l’eccezione.

Eccezionale è l’alluvione di cupo male e cupidigia a cui sta attaccato il discorso pubblico. E si capisce perché. Perché giunto alla fine della propria consunzione, al moderno borghese non rimane altro che indurire nel suo cinismo vagabondo e nel soldo. Non c’è verità. E il più pulito degli esseri umani ha la rogna (vero, però questo si racconta solo degli altri). Rimanete comunque tranquilli al vostro posto di cittadini amministrati da preti-laici e preti-preti. La religione del welfare dei diritti vi fa stare in (relativa) pace, organizzare il week-end, illudere di una pensioncina, assicurarvi l’uscita di scena con tanta dignità (e un po’ di Dio democrat).

«Io sono in mezzo a loro»
Così, noi che siamo veramente i poveri e scriviamo sull’acqua, dobbiamo riconoscere e ringraziare il tenace popolo silenziosamente resistente. Questo popolo italiano. Riconoscerne il battesimo cristiano. E ringraziare perché, se è vero come dice il catechismo che «mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione», è anche vero che qualcosa di tutto questo ci è rimasto attaccato addosso. E sfida tutto il pieno di cinico e scettico e ricco modernariato borghese. Qualcosa che qui e là, magari senza averne noi cognizione esatta, zampilla fiotti di umanità dal di sotto delle grandi pietre del vuoto, pieno di manufatti e di manodopera, che incessantemente ci schiacciano nel venir su della grande Babele. Torre di una civiltà così organizzata e così alta nei cieli d’Occidente – così organizzata di supremazia tecno-scientifica e così alta nelle sue buone intenzioni di chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa – che non si vede più il panorama della vita quale essa è, propriamente e fragorosamente, nella sua lotta, profondità, grandezza e, tristemente, limite sterminato.

Come ha detto Scola, il popolo cristiano «certo non è più un albero rigoglioso di foglie e di frutti, e tuttavia le sue radici sono ben vive. E finché le radici sono vitali, l’albero può tornare florido». Ecco il tema. Quella radice che c’è, come fa a ritornare albero? Forse dare una mano a costruire scuole, giornali, cultura? Presenza d’ambiente? E addirittura una politica cristiana? D’altronde anche mio padre ci credeva e non ci credeva. «Ma dici davvero che c’è qualcosa? Ma va’ là, c’è niente». Ma va’ là il tuo immaginare. Confessati. La fede ce la si dà. Non è un pensare da buoni borghesi. La fede funziona esattamente come funzionano gli uomini. Si impara facendola insieme. Gesù non ha mai detto che in fondo ai tuoi pensieri o nel predicato della tua coscienza o là dove ci sono i tuoi poveri e migranti, là ci sono io. Gesù ha bensì detto che «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Anche in politica deve per forza valere questa parola di Cristo. Perché se non vale nelle cose che più appassionano gli uomini – il denaro e il potere – a che serve il cristianesimo? Agli sfigati? Per tutto questo, insomma, auguriamoci che la sfigata sinistra dello ius soli e del filo-islamismo venga sconfitta. A cominciare dalle prossime elezioni in Sicilia.

@LuigiAmicone

Foto Ansa

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