Essere per la pace senza essere “pacifisti da divano”

Gli articoli di Moavero Milanesi e Magatti aiutano a capire quale ruolo possono assumere l'Europa e la Chiesa per arrivare alla soluzione della crisi in Ucraina

Militari della brigata d’assalto ucraina che ha ripreso il controllo dell’aeroporto di Mykolaiv, Ucraina, 12 aprile 2022

Fra i tanti commenti pubblicati sulla guerra in Ucraina ve ne sono due che meritano di essere segnalati. Il primo è dell’ex ministro Enzo Moavero Milanesi (“Ma come si difende la Ue?”, Corriere della Sera), il secondo di Mauro Magatti (“Il totalitarismo della guerra”, Avvenire).

Moavero Milanesi parte dalla constatazione che l’Unione Europea si è mossa per rispondere all’invasione russa dell’Ucraina con atti importanti (sostegno finanziario, armi, dichiarazioni e visite dimostrative), ma che sono ancora molti i nodi da sciogliere e rimangono sospesi «svariati interrogativi di fondo».

Cessate il fuoco negoziati

Il primo nodo è un’iniziativa volta «a favorire un cessate il fuoco e dei negoziati». Su questo, nota giustamente l’ex ministro degli Esteri, i tentativi sono venuti «più dai vertici di qualche governo che non da quelli Ue». Il punto di tutto il ragionamento di Moavero Milanesi è esattamente questo: le mosse dei vari Stati sono state infruttuose e l’Unione non è mai stata incisiva, determinante, coraggiosa.

«Eppure, i Trattati Ue prevedono esplicitamente una “politica estera e di sicurezza comune”, inclusiva di numerose e variegate azioni operative con le pertinenti procedure. Il problema sempre segnalato è che quasi ogni passo richiede il consenso dei 27 Stati membri. Se ne deve dedurre, allora, che non c’è unanimità sulle cose da fare, oppure che prevale il desiderio di protagonismo individuale. Sebbene i due motivi siano comprensibili e abbiano pesato in passato, nelle circostanze presenti, è davvero arduo negarne la seria miopia».

Esercito europeo

Secondo nodo: la differenza tra Nato e Ue. In entrambi i casi, se l’Ucraina aderisse a una delle due istituzioni, i paesi membri sarebbero costretti ad intervenire in suo sostegno. Qual è la differenza? Risposta lapalissiana: «Gli Usa, la loro potenza globale, il loro arsenale».

Ma allora si capisce, prosegue nel ragionamento Moavero Milanesi, che il problema dell’Unione è il fatto di non avere un esercito. Vecchia storia, che risale al 1952, e che non si è mai sbloccata da allora per decisione della Francia, rimanendo nel «limbo».

Per dare una “scossa”, da questo punto di vista, la strada è solo una e passa ancora dalla Francia perché «negli odierni equilibri mondiali, ci sono due fattori che fanno la differenza: il seggio permanente all’Onu con l’assortito diritto di veto e l’arma nucleare. Nell’ambito Ue, un solo Stato li ha e li ha entrambi: la Francia. Ne discende che il tema della condivisione andrebbe messo sul tavolo senza indugi, malgrado sia all’evidenza delicato. Magari, lo stesso governo francese, da tempo promotore di una difesa comune, ci avrà riflettuto e potrà aiutare: se così non fosse, il progetto base partirebbe in maniera inadeguata».

Materie prime e energia

Terzo nodo: le materie prime indispensabili. Anche su questo punto Moavero Milanesi torna a battere sulle divisioni del Vecchio Continente. Il dilemma è serio: l’alternativa a finanziare l’aggressore russo (e fare sacrifici) è cercare «fornitori differenti, anche passando sopra la loro distanza dal nostro concetto di garanzie e libertà basilari».

Come si capisce, farne un discorso “morale” ha degli evidenti limiti. Soprattutto, ed è qui che l’ex ministro torna a insistere, se lo si fa divisi e facendosi concorrenza. «Di nuovo, il nodo va sciolto agendo rapidamente insieme, almeno per concordare una linea di coerenza etica, presentarsi come acquirente unico con più forza contrattuale, ripartire equamente le risorse disponibili, stanziare i fondi per gli investimenti necessari al futuro».

Lo schema amico-nemico

Il secondo articolo interessante è quello di Magatti che riprendendo l’immagine del presidente russo Vladimir Putin con il cero acceso durante la messa di Pasqua, si chiede che cosa abbia da dire la Chiesa di fronte a un uso così strumentale del sentimento religioso, usato per avallare «i massacri più disumani».

È la stessa logica della guerra a portare all’estremizzazione secondo «lo schema binario amico-nemico, buono-cattivo. La guerra ridisegna un mondo senza sfumature, dove non c’è più alcuna possibilità di intesa. E dove perciò l’unica via d’uscita sembra che sia la vittoria del più forte».

Bene. Il punto è proprio spezzare questo schema, uscire da questa logica che, nota Magatti, è «una tentazione che ritorna di continuo anche oggi: non solo nella Chiesa ortodossa, ma anche nel mondo islamico e in quello induista. E che è presente anche in Occidente. Tanto in quei leader che utilizzano in modo puramente strumentale i simboli religiosi per sostenere le proprie posizioni, quanto in coloro che in queste settimane si stracciano le vesti perché ritengono che il Papa debba assumere una posizione più netta a sostegno dell’Ucraina e contro la Russia».

Pacifisti da divano

Cambiare prospettiva e chiedere la pace «non significa essere anime belle, pacifisti da divano. Non significa non riconoscere o non condannare l’aggressione in corso in questo momento in Ucraina. Né negare la necessità di dare un messaggio chiaro a Vladimir Putin. Significa, al contrario, sapere che quello che va evitato è accettare la logica della guerra in cui proprio Putin vuole attirarci. E che in fondo sarebbe la sua vera “vittoria” in un contesto contemporaneo, nel quale non si può più “vincere”».

Ecco, come va continuamente ripetendo papa Francesco, occorre uscire dallo schema binario per approdare a «un punto di diverso, che è quello di Dio». «È quando si muovono sul loro proprio piano, che non è puramente storico e di potere, che le religioni possono aiutare a ritrovare ciò che in tempo di guerra sembra inafferrabile: la pace».

Foto Ansa

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