La formidabile cura dei fragili che a Leopoli ha fatto breccia nella guerra

Padre Igor, un clown, Arché, il papà di Luca, profughi con e senza carrozzina, una équipe che dà vita a un modello di inclusione sotto i missili e senza precedenti. La missione della neurologa Matilde Leonardi in Ucraina

La “spedizione pasquale” della neurologa Matilde Leonardi (seconda da sinistra) con fondazione Arché in Ucraina

«Suona l’allarme, sono le 7.20, io sono sotto la doccia e se cade un missile mi trova così in disordine? Nei 10 minuti tra suono dell’allarme e corsa al rifugio mi sono vestita, truccata, infilata collana e orecchini di perle. Casomai cadesse un missile, ho pensato, sono pronta. In ordine e coordinata, come mi ha insegnato mia madre».

La parola più usata dai giornalisti che si imbattono in quell’eccellenza mondiale che è la dottoressa Matilde Leonardi è “vulcano”: neurologa dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, direttore del Coma Research Centre-CRC e della unità di neurologia e salute pubblica, docente di Neuropsichiatria in Università Cattolica, membro dell’Accademia Pontificia per la Vita e esperta dell’Oms su disabilità e neurologia, Leonardi coordina équipe di ricerca in tutto il mondo, dall’Africa al Medio Oriente, ha collaborato con il ministero ucraino alla riforma della certificazione della disabilità, ed è nella task force dell’Oms sulla riabilitazione in Ucraina in tempo di guerra. In altre parole, non ha raggiunto Leopoli il giorno di Pasqua, ortodossa, per farsi sorprendere da un missile sotto la doccia.

Padre Igor, suor Giustina e il Luca Park

«Ci sono i pazzi che fanno di tutto per distruggere il mondo e ci sono i pazzi che fanno di tutto per salvarlo. Io trovo più facile allearmi con i secondi, anche quando tutto intorno sembra disperante. La disperazione è da combattere sempre, ognuno come può, io personalmente la combatto da trent’anni al lavoro e stando vicino alla famiglia ed agli amici, quindi oggi a padre Igor Boyko e suor Giustina». Un prete e una suora, anch’essi membri dell’Accademia Pontificia della vita, ma soprattutto amici della dottoressa Leonardi e altrettanto vulcanici: se suor Giustina Olha Holubert, genetista e psicologa ha fondato e presiede l’hospice pediatrico di Leopoli, padre Igor Boyko, figlio della “Chiesa del silenzio” e dei perseguitati sotto l’Unione Sovietica, ebbe il compito da Giovanni Paolo II in persona di fondare il seminario di cui oggi è rettore. La sede nuova si trova da 16 anni nel centro di Leopoli; il vecchio seminario, sorto invece a ridosso della città, resta in un bosco meraviglioso e in una pace che nemmeno le sirene di guerra riescono a penetrare. «È qui che padre Igor ospita 60 tra bimbi profughi e mamme, ed è qui che abbiamo realizzato il Luca Park».

Sì perché con le 24 ore trascorse da Matilde Leonardi in Ucraina c’entrano preti, suore, un clown di guerra, il Pimpa, e i giochi gonfiabili inviati da Andrea Ciccioni, papà di Luca (un coraggiosissimo bimbo sconfitto dalla leucemia molti anni fa), i formidabili protagonisti di fondazione Arché, profughi con e senza carrozzina, una équipe multidisciplinare con medici, insegnanti, sociologi ucraini alle prese con la realizzazione di un modello di inclusione in piena guerra e senza precedenti. Ma andiamo con ordine.

Padre Bettoni, il papà di Luca, i bancali di tortellini

«Il 24 febbraio chiamo padre Igor, “qualunque cosa ti serva, io ci sono”. Mi risponde che al momento non ha bisogno di nulla. Poi, l’11 marzo, è lui a chiamarmi: “Sono arrivati qui 60 profughi, quasi tutti bambini con le loro mamme. Contando anche un centinaio di seminaristi, devo mettere a tavola, a colazione, pranzo e cena, 150 persone e non riesco a trovare cibo per tutti”. Ti mando subito dei soldi, gli ho detto, “non me ne faccio niente”, ha risposto, “non c’è cibo da comprare”. Io faccio il primario, non la Croce Rossa. Allora chiamo padre Giuseppe Bettoni, fondatore e presidente di Arché, che in zero secondi risponde alla mia richiesta allarmata, “va bene, vado io a Leopoli”. Nel frattempo avevo gridato e chiesto aiuto a chiunque conoscessi, dirigendomi con amici e figlio al supermercato a svaligiare i bancali con una idea generica di beni di prima necessità che sarebbero potuti servire».

Il 12 marzo, Leonardi riceve una telefonata: «Scusi dottoressa, non ci conosciamo, sono Andrea Ciccioni, sono il papà di un ragazzino morto 10 anni fa, ho un’associazione che si chiama Quelli che… con Luca». Ciccioni vuole dare una mano all’Ucraina, non sa a chi darla ma è certo che Matilde Leonardi avrebbe di sicuro fatto qualcosa. Nel giro di poche ore questo padre porta a casa Arché di tutto, cibo, lenzuola, scarpine, latte. Quarantotto ore dopo, da casa Archè, padre Giuseppe, che nel frattempo aveva chiesto e ricevuto subito aiuto da generosissimi amici, partiva con il primo convoglio, ma «avevo fatto talmente baccano che mi sono ritrovata circondata da associazioni e persone pazzesche desiderose di dare una mano». Milano sospesa, comitato MI’mpegno, Aiutility, le Soroptimist, alcuni Rotary club e, spedizione dopo spedizione, si sono aggiunti tanti altri che hanno deciso di portare aiuto a Leopoli, i Tesla Owners, i volontari della Croce Verde, i City Angels e poi da Parma un gruppo che porta forme di parmigiano e bancali di tortellini oltre che farmaci e passeggini ai bambini di padre Igor e suor Giustina.

Matilde Leonardi con padre Igor Boyko e suor Giustina a Leopoli (foto da Facebook)

Il vino per la messa, i gonfiabili per la resistenza umana

«Arrivati a quota 11 spedizioni in Ucraina mi viene un’idea balzana. Scrivo a quello che era ormai diventato un nutrito gruppo di amici e associazioni che puntualmente aggiornavo con una newsletter di richieste da parte di padre Igor e chiedo: “Scusate, qualcuno non ha dei giochi gonfiabili, che facciamo un parco giochi al seminario?”». Fino ad allora la richiesta più strana, per quanto necessaria, che Leonardi aveva inviato era quella di un buon vino per la messa di padre Igor («abbiamo mandato su un Moscato di Pantelleria buonissimo»), ma questa di “gonfiabili” in tempo di guerra non l’avevano ancora sentita.

«Ho inoltrato la mail alle 11 di sera. Il giorno dopo, alle dieci di mattina, Andrea Ciccioni aveva trovato tutto, giochi, donatore e persone. Luca è morto ma ha guidato il suo papà fino a questo bosco di Leopoli, colmo di bambini rifugiati, dove abbiamo aperto una settimana fa un parco giochi, il Luca Park. Mia figlia mi ha detto: “Scusa mamma, qui tutti scappano dalla guerra e tu apri un parco giochi?”. Certo che lo apro, anche nel massimo orrore c’è sicuramente un qualcosa positivo che va cercato sempre. Io dirigo il Centro ricerche sul Coma e mi occupo di pazienti in stato vegetativo. Cosa spinge una madre che ha suo figlio in coma a non impazzire? Ebbene io avuto il privilegio come medico di vedere tirar fuori dalle persone una forza che prima di essere messe in una condizione estrema non sapevano neppure di avere. C’è una resistenza umana innata che nella massima disperazione cerca la speranza, un positivo che dà ragione ad ogni suo tentativo di mettere un passo davanti all’altro. Sono andata in Ucraina anche per questo».

L’esperta mondiale della riabilitazione a Leopoli

Ovviamente, prima dei gonfiabili, Leonardi è andata a Leopoli a portare il suo know-how di esperto mondiale della disabilità: «Io ero già consulente del governo alle prese con una riforma della valutazione della disabilità, ero già stata in Turkmenistan, Kirghizistan, Russia, e ho lavorato tanto sull’Ucraina, con i miei amici russi. Lo sottolineo perché sono convinta che sia da questa amicizia tra uomini, russi, ucraini, uomini di scienza, conoscenza, che si potrà ricostruire qualcosa: è la mia famosa regola numero uno, cercare “i pazzi” che alimentano la resistenza umana. Sono da oltre un mese nella task force dell’ufficio europeo dell’Oms sulla riabilitazione in Ucraina, che ogni settimana riferisce sulla situazione e sulle esigenze che emergono per la riabilitazione, prevalentemente ospedaliera. Ma non emerge, dalle notizie, cosa sta succedendo alle persone con disabilità e quale è il piano di supporto per loro. Quindi sono partita perché non riuscivo a capire cosa stesse succedendo in tutti gli istituti della zona est bombardata dai russi, dove si trovano le realtà più “fragili” del paese. E più cercavo di capire qual era la situazione e osservavo le carovane delle migrazioni delle persone con disabilità dall’Ucraina verso i paesi confinanti, più mi chiedevo se si stava facendo il loro bene: stavano liberando queste persone dall’istituto concepito in maniera sovietica – io stessa così come esperti di Unicef e istituzioni europee, avevo steso relazioni negative su alcune realtà, gli internat, con condizioni pessime di “reclusione” delle persone con disabilità e la cui chiusura rappresentava una condizione per l’entrata in Europa dell’Ucraina –, o svuotare il paese dei suoi disabili andava nella direzione opposta?».

Il modello di padre Igor e del centro Dzherelo

Leonardi ha passato in rassegna come si muovevano le organizzazioni europee delle persone con disabilità e i più pratici le sono sembrati quelli della Easpd, European Association of Service providers for people with disability, che stanno organizzando hub nelle nazioni confinanti, Ungheria, Polonia, Moldavia, Romania, Slovacchia, Bulgaria, per accogliere le persone con disabilità: «Li ho contattati per dire loro una cosa molto semplice: io ora vado in Ucraina e mi metto al lavoro per dare vita all’interno dei suoi confini a un progetto inclusivo insieme a padre Igor e al centro di neuroriabilitazione pediatrica Dzherelo, un centro di Leopoli all’avanguardia, un luogo di cura “day care” lontano anni luce dall’istituto-modello sovietico». Un modello, quello degli istituti sovietici o dei cosiddetti “orfanotrofi di transito” che, non neghiamolo, ha distrutto molte famiglie o allocato un numero altissimo di persone con disabilità gravissime in strutture dalle quali è ora difficile evacuare. Ma anche questa è un’altra storia.

«Insomma ho informato Easpd che sarei andata in Ucraina per definire con i colleghi e le istituzioni locali un “case model” inclusivo lì, ora e in guerra, e perché a guerra finita questo potesse diventare un modello di riferimento per l’inclusione vera dei bambini, dei giovani, degli adulti con disabilità, insomma per fare della tragedia opportunità». Leonardi è riuscita a portare Maya Doneva, segretario generale dell’Easpd per vedere come questo servizio possa diventare un case model da disseminare in altre città “sicure” dell’Ucraina, o perlomeno non nelle zone ora in piena invasione. Un modello di inclusione che prevede che l’accoglienza già avviata nel seminario di padre Igor sia aperta a tutti i bambini con e senza disabilità e ai loro caregivers, e dove i profughi con disabilità sono poi seguiti tutti i giorni allo Dzherelo.

L’anziana madre che non abbandona suo figlio

«Questo è un centro modello di day care, educazione, inclusione sociale, dove lavora come direttrice della riabilitazione la mia collega e amica Oxana Hdyrya, e qui arrivano ogni giorno 120 bambini in carrozzina. Prima della guerra erano il doppio. Spostarli nei rifugi sotterranei è complicato e richiede tempo. Hanno dovuto assumere più personale in questi due mesi, anche perché ogni giorno, assieme ai volontari fissi in stazione, si vanno a prendere i profughi disabili caricati sui sovraffollati treni per Leopoli ma senza i loro ausili, le loro carrozzine. Insomma, quando arrivano devono essere scaricati a braccia in attesa che qualcuno porti loro una sedia a rotelle. Dall’inizio della guerra Oxana è riuscita a portarne più di 40. Nessuno dei miei colleghi medici, riabilitatori, neurologi, degli operatori socio sanitari, delle cuoche e degli amministrativi del centro ha smesso un secondo di lavorare, e tutti i pazienti scappati oltreconfine non vengono persi grazie alla teleriabilitazione che gli operatori di Dzherelo fanno ogni giorno».

L’anziana madre che non ha abbandonato il figlio con disabilità a Leopoli (dal profilo Facebook di Matilde Leonardi)

Quando all’ennesima sirena è scesa nel bunker del centro Dzherelo, Leonardi ha visto i colleghi infilare amorevolmente le cuffie ai bambini autistici perché il suono delle sirene non li facesse impazzire. E ha visto il volto di ciò che la sostiene, «la ragione del mio lavoro di una vita e il senso del mio trovarmi lì, in Ucraina: una vecchia madre, profuga dalle zone dell’est, e qui quieta col suo fazzoletto in testa fucsia che dava il braccio al suo ragazzo disabile. Sorrideva, proprio così, sorrideva, stanca, appoggiata a lui, o forse lui appoggiato a lei, mentre suonava la sirena. Lei non lo aveva mollato. Non lo aveva abbandonato». Non per tutte le persone con disabilità è stato ed è così oggi nella tragedia della guerra. Un report Unicef del 2015 stimava 2 milioni di persone con disabilità, 270 mila in istituti, 88 mila bambini. Oggi dovrebbero essere 2,7 milioni, in molti nelle zone di guerra sono “tagliati fuori” anche solo dalla possibilità di raggiungere bunker inaccessibili.

Il progetto DIM, il mago Pimpa, l’incontro inaspettato

«Io faccio il mio, che è cercare assieme a colleghi e istituzioni di definire il progetto DIM, che in ucraino vuol dire “casa” ma è anche l’acronimo di Disability Inclusive Model per bimbi e ragazzi valido da diffondere e replicare. Un pensiero nell’emergenza che diventa ponte per il futuro. Sono trent’anni che lavoro sulla disabilità, non “per” le persone con disabilità, ma perché per me il segno di una civiltà è dato da come una società tratta i suoi fragili. È quello che voglio fare anche in questo meraviglioso paese dove in sole 24 ore sono accadute cose eccezionali». Leonardi racconta l’incredibile compagnia del mago Pimpa, alias Marco Rodari, cresciuto alla scuola del mago Sales (sacerdote salesiano di Torino famosissimo per aver dato vita nel suo oratorio a una scuola italiana di comici maghi, come Brachetti, Forrest, Cremona) e che da 20 anni fa il mago di guerra, «va a tirare fuori i bambini dai bambini nei luoghi distrutti del mondo», in Iraq, Siria, Gaza, Romania, Egitto, Giordania, Nigeria, Kenya, «e ora dai bambini di padre Igor» (ma anche questa sarà un’altra storia). E l’incredibile incontro con Carolina Casini, pediatra italiana in missione con la Croce Rossa e sempre in prima linea in scenari di emergenza, «l’ho incontrata assolutamente per caso uscendo dal centro Dzherelo dove la Cri stava entrando per prendere alcuni profughi da portare in Italia, e neanche mettendoci d’accordo saremmo state così puntuali».

La cena di Pasqua con le sirene e l'”oggi” di Oxana

Il giorno di Pasqua, Oxana ha cercato di rassicurare subito Leonardi che era spaventata quando, davanti al ristorante dove l’aveva invitata per cena, è suonata la sirena dell’allarme missile. Arrivando in Ucraina si scarica una app che suona sui cellulari in contemporanea a tutte le sirene della città, una app da cui tutto il paese segue dal vivo sulla mappa l’arrivo dei missili e l’attivazione della difesa anti-missile. Al ristorante non servono nulla se non vino e un piatto freddo perché i cuochi sono nel bunker, il cameriere chiede di pagare il vino e ogni ordine in anticipo in caso di fuga “o altro”.

Si era commossa, Oxana, la sera prima, quando l’amica le aveva chiesto se le poteva portarle dall’Italia a Leopoli quella crema viso marca supersonica che fa miracoli, «”Matilde”, mi aveva detto, “tu mi ricordi il mondo prima, da due mesi io ho solo oggi, oggi, oggi e ogni giorno devo essere pronta a occuparmi delle centinaia di profughi con disabilità, a riorganizzare la riabilitazione, a trovare farmaci antiepilettici”. A cena vergognandomi della mia paura e del fatto che lei mi doveva rassicurare, le ho poi regalato un fantastico scrub all’aperol spritz, perché lei deve pensare anche ai domani, alla pace, a quando su un terrazzo a Milano lo spritz lo andremo a bere assieme». I pazzi che lavorano alla resistenza umana fanno di tragedia occasione, di fragilità cura, di disperazione speranza. E non si fanno trovare impreparati neanche se cadono i missili mentre fanno la doccia.

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