Terrorismo. Contro i “lupi solitari” non abbiamo difesa

«Tutto il nostro mondo è una polveriera, la miccia è accesa. Siamo di fronte a una combinazione di minacce». Intervista al generale Peter Regli, ex direttore del Servizio di informazioni e sicurezza della Svizzera

Peter Regli (foto sotto), nato ad Airolo in Ticino, è stato direttore del Servizio di informazioni e sicurezza della Svizzera (Sic) col grado di generale di divisione (divisionario) dal 1991 al 1999. Diplomato in ingegneria aeronautica del Politecnico Federale di Zurigo, già pilota di caccia nell’aeronautica militare, attualmente è esperto in politica di sicurezza e di intelligence con domicilio a Berna. Subì inchieste giudiziarie e parlamentari a partire dal 1999, accusato di rapporti illeciti coi servizi segreti del Sudafrica al tempo dell’apartheid. Nel 2007 fu definitivamente prosciolto da ogni addebito. È intervenuto come relatore, insieme a Edward Luttwak, alla conferenza pubblica “La Svizzera e il terrorismo” che ha avuto luogo lunedì 23 marzo 2015 presso l’Aula Magna dell’Università di Lugano.

Generale Regli, lei ha dichiarato che «tutti i paesi democratici europei possono venire colpiti da attacchi terroristici, all’improvviso, con grande brutalità e senza che i servizi di sicurezza abbiano potuto evitarli» (Popolo e Libertà, 13 marzo 2015). Cosa si può fare per minimizzare questi ineliminabili rischi?
Nel caso della Svizzera posso affermare che si tratta, in primo luogo, di fare in modo che il nostro Servizio di Informazioni della Confederazione (Sic) possa operare sulla base di una nuova legge moderna, adattata alle sfide attuali e future, la quale permetta di ricercare l’informazione in modo preventivo. Questa legge ha lo scopo di evitare brutte sorprese come quelle di Parigi, Copenaghen, Bruxelles, Tunisi, ecc.. La Svizzera è, attualmente, l’unico paese europeo che non possiede ancora basi legali di questo genere per poter far fronte alle minacce di oggi e del futuro. Questa lacuna è conosciuta dai servizi partner come pure, temo, anche dagli attori che operano nell’ombra. Un altro fattore, molto importante, per aumentare la sicurezza di uno stato, è la stretta collaborazione e lo scambio di informazioni con i servizi di paesi amici. Accanto a tutte le misure possibili e immaginabili dobbiamo, però, abituarci a un dato di realtà: che un attacco kamikaze di sorpresa, fatto da un lupo solitario (oppure da due fratelli, come a Parigi in gennaio), rimane sempre possibile. Nei nostri paesi lo stato ha il monopolio della forza e deve garantire la sicurezza di noi cittadini. Per questa ragione deve fare tutto il possibile, per rendere il compito difficile ai malfattori potenziali. La politica è responsabile, da parte sua, di fornire i mezzi necessari (personale, materiale, istruzione, finanze, competenze) ai singoli servizi, affinché possano fare il loro dovere! Come sappiamo oramai la sicurezza in Europa, e anche in Svizzera, negli ultimi anni è stata trascurata in modo irresponsabile, condizionata ai tagli di bilancio delle finanze nazionali e non alle necessità richieste dallo sviluppo della minaccia. Prova ne è la paralisi totale dell’Unione Europea e della Nato di fronte alla guerra condotta dalla Russia contro lo stato sovrano dell’Ucraina, per esempio. Sembra che soltanto adesso, a causa della grande pressione di Putin e con le enormi manovre militari nel settore nord dell’Europa, anche l’Alleanza Atlantica cominci a rendersi conto che si devono aumentare i fondi per la sicurezza nazionale e occorre svegliarsi dal sonno profondo, nel quale i suoi membri europei sono sprofondati dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989.

Qual è oggi la più grave e imminente minaccia alla sicurezza dei paesi europei?
Tutto il nostro mondo è una polveriera, la miccia è accesa. Siamo di fronte a una combinazione di minacce. Per noi Europei l’elenco comprende l’immigrazione illegale fuori controllo, l’estremismo violento di sinistra (vedi i fatti di Francoforte del 18 di marzo per esempio), di destra e di matrice islamico-salafita (ne fa parte il terrorismo islamista di questi giorni), la “cyberguerra”, lo spionaggio (più attuale che mai!), il crimine organizzato, lo sviluppo di armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche e nucleari), l’informazione utilizzata come arma, ecc.. Tutti questi elementi compongono scenari diversi che minacciano in modo differenziato e importante la sicurezza dello Stato di diritto e democratico nei nostri paesi.

L’Isis ha profferito ripetute minacce contro l’Italia. Secondo lei si tratta solo di retorica o di un pericolo reale per la sicurezza italiana? Lei pensa che questi terroristi faranno qualcosa ai danni dell’Italia da qui alla fine dell’anno? Che cosa?
Per un osservatore in Svizzera è alquanto difficile apprezzare la situazione di sicurezza della vicina Italia. Lo Stato islamico (più esattamente: un suo portavoce) ha, in effetti, anche minacciato l’Europa in generale e centri urbani come Parigi, Roma e Granada in particolare. Queste minacce fanno certamente parte della retorica e della guerra psicologica di questa organizzazione animata da un’ideologia totalitaria, che disprezza l’essere umano, la cultura occidentale, la donna e le nostre regole civili. In ogni caso dobbiamo però analizzarle, valutarle e prenderle sul serio. Un attentato suicida in Piazza San Pietro a Roma avrebbe conseguenze catastrofiche per tutto il mondo occidentale, oltre che per la comunità cristiana! Sono convinto che i servizi di sicurezza italiani, non ultimi quelli di intelligence, prendono queste minacce molto sul serio e stanno facendo di tutto per captare e neutralizzare attori potenziali prima che possano entrare in azione. Personalmente ho una grande stima per i colleghi italiani, con una simpatia particolare per l’arma dei Carabinieri!

Sull’Isis si legge di tutto. Secondo lei l’Isis è stato manovrato da servizi segreti di Stati ufficiali? È un’organizzazione infiltrata? Se sì, da chi?
Non mi risulta che al Qaeda oppure lo Stato islamico siano creazioni degli Stati Uniti, della Cia oppure del Mossad o del Kgb, come certe teorie cospiratorie suggeriscono. Lo Stato islamico è una conseguenza della situazione politico-sociale negli stati arabi dove vivono sunniti e sciiti e dove il fanatismo wahabita e salafita è intenso. È però fuori dubbio che la creazione dello Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi, il califfo Ibrahim, è una conseguenza diretta anche della mancata pianificazione politica degli Stati Uniti dopo la loro invasione dell’Iraq, sotto la guida veramente più che irresponsabile dell’allora amministratore civile Paul Bremer. Una domanda che si pone però da tanto tempo è il ruolo dell’Arabia Saudita e del Qatar nell’ambito del finanziamento di movimenti salafiti/wahabiti, molto vicini al terrorismo islamista.

Sul web impazza il complottismo, e molti attentati terroristici vengono descritti come operazioni “falsa bandiera” per far ricadere la colpa su chi colpevole non è. Nella sua carriera lei è mai venuto a conoscenza di operazioni “falsa bandiera”? Quali?
Per fortuna, per quanto riguarda il mio paese, durante i miei anni di responsabilità per il servizio, non ho mai dovuto fare direttamente tali esperienze. Sempre ancora attuali, per contro, sono le diverse teorie cospiratorie, riguardanti l’11 settembre in America per esempio, e l’importanza della disinformazione continua da parte di certi media. Un caso molto attuale è l’impiego dei media (radio, televisione, stampa, internet, Facebook, YouTube) e della disinformazione, da parte del governo russo nell’ambito dell’occupazione illegale della Crimea e dell’invasione militare dell’Ucraina. Dobbiamo constatare gli stessi metodi di guerra psicologica, di operazioni “falsa bandiera”, come durante la guerra fredda. In questo senso, il nostro mondo non è davvero cambiato!

Perché i russi riescono a intercettare le comunicazioni degli altri mentre gli altri non si riescono a intercettare le comunicazioni russe?
Chi le fa credere che “gli altri” non riescano a intercettare le comunicazioni russe? Il fatto che lei non lo sappia, non vuol dire che non si faccia! Non dimentichi che i servizi di informazioni, l’intelligence, operano nel segreto, per i propri governi e non per i media oppure per il grande pubblico!

Perché, nel caos sanguinoso della guerra civile siriana, gli israeliani riescono sempre a individuare i carichi di armi destinati a Hezbollah e a bombardarli?
Semplicemente perché si battono per la sopravvivenza! L’Iran, Hezbollah e Hamas, in primo luogo, vogliono distruggere la nazione e annegare gli ebrei nel mare. Lo ribadiscono sempre di nuovo. Ecco la vera ragione perché Israele ha i servizi di informazione migliori e più efficaci del mondo!

Qual è il paese con le maggiori risorse di human intelligence a sua conoscenza?
Senza dubbio lo stato d’Israele.

Premesso che gli Usa sono il paese più colpito dagli attacchi informatici e insieme quello da cui ne proviene il maggior numero, qual è il paese più abile negli attacchi informatici in termini di qualità, di dati sensibili rubati o sistemi di funzionamento danneggiati?
Oggi come oggi penso che accanto agli Usa la Cina sia lo stato più avanzato da questo punto di vista. La pratica di tutti i giorni e le penetrazioni nelle nostre reti da parte di attori statali e non statali mi sembrano esserne la prova.

Quanto siamo lontani da un uso di armi di distruzione di massa da parte di organizzazioni terroristiche?
Mancandomi fatti e informazioni evidenti non sono in grado di fare una previsione. Mi sembra però più che giustificato che i nostri servizi nazionali pensino l’impensabile e aspettino l’inatteso ragionando in scenari e presentando possibili conseguenze, soprattutto ai loro superiori politici. Anche in questo ambito la collaborazione tra i servizi mi sembra capitale.

Lei ha avuto problemi con la giustizia svizzera, dai quali è uscito brillantemente. Perché quasi tutti i responsabili dei servizi di intelligence si trovano a un certo momento della loro vita coinvolti in vicende giudiziarie? Quanto è difficile muoversi nell’”area grigia” fra ciò che è legalmente permesso e ciò che non lo è?
Essendo stato pilota nell’aeronautica militare, quando ho assunto il compito di direttore del nostro servizio di informazioni, pretendevo di essere allacciato, nel mio ufficio a Palazzo Federale, su un seggiolino eiettabile, come nel caccia militare. Qualora in un governo il superiore politico abbia bisogno di determinate informazioni, il direttore del servizio di intelligence rispettivo deve decidere del modo di procurarle. Certe operazioni non sono sempre facili, ovvie, senza rischi, come ci si può immaginare. Nel caso in cui un’operazione non dovesse riuscire o causasse problemi inattesi, si sa che la valvola o il filtro per il ministro (che naturalmente pretende, nella maggior parte dei casi, di essere ignaro di quel che avviene) è sempre il direttore del servizio, che deve, di conseguenza, assumere la piena responsabilità e “catapultarsi”. Se, nell’ambito di eventuali inchieste, il politico responsabile inoltre si allea con una procuratrice o un procuratore di Stato “fuori controllo” ed esaltati, la situazione può diventare molto complessa. Ecco il destino di numerosi capi di servizi, sacrificati al “primato della politica”.

Qual è stata l’operazione più importante della sua vita?
Il direttore di un servizio che si rispetti non scrive libri e non parla mai di operazioni, siano queste attuali o trascorse. Aver potuto dirigere il servizio di informazioni di uno stato di diritto e democratico, del mio paese, è stato non soltanto un compito affascinante e unico ma, bensì, anche un grande piacere e un onore tutto particolare! Ecco una conclusione importante della mia vita.

@RodolfoCasadei

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