Le famiglie italiane pagano 402 miliardi di tasse, il 60% delle entrate statali. E non risparmiano più

L'ingresso nell'Euro e la manovra Monti hanno portato gli italiani a versare più soldi allo Stato. L'aumento dell'Iva «sarebbe dannoso». Uno studio di Luigi Campiglio (Università Cattolica)

Il conto più salato con la crisi l’hanno pagato le famiglie al fisco. Tra tasse dirette, indirette e contributi previdenziali o assistenziali, il sacrificio che hanno corrisposto all’erario nel 2012 ammonta a 402 miliardi di euro, che rappresentano il 60 per cento del totale degli introiti fiscali dello Stato. A stimarlo è stato Luigi Campiglio, ordinario di politica economica all’Università Cattolica di Milano.

PIÙ TASSE DI UN ANNO FA. Più di metà degli oltre quattrocento miliardi (204 miliardi) sono serviti alle famiglie per pagare Irpef, addizionali comunali e regionali e l’Imu. L’Iva, le accise e altre imposte indirette, invece, sono costate loro 127 miliardi di euro. Mentre i contributi a carico di lavoratori e datori di lavoro hanno richiesto un ulteriore esborso di 71 miliardi di euro.
Ma quel che è peggio è che l’aumento della pressione fiscale e tributaria, che complessivamente è cresciuta dal 38,3 per cento del Pil del 1990 al 44 per cento di oggi (solo nel 2011 era pari al 42,6 per cento), non ha risparmiato le famiglie. In vent’anni, infatti, hanno visto crescere il peso del fisco nei loro confronti del 4 per cento. Con effetti negativi sulla proverbiale capacità di risparmio degli italiani. Come dimostra lo studio, sono questi gli effetti di tre manovre: quelle del 1992 e del 1998 «per finanziare l’ingresso nell’euro» e quella dell’«austerità» del 2011-2012 del governo Monti, che ha dato «il colpo finale».

NE’ RISPARMI NE’ CONSUMI. Il reddito disponibile di un nucleo familiare è così crollato in vent’anni del 25 per cento, mentre il risparmio è precipitato dal 24 all’8 per cento, attestandosi ben al di sotto della media europea che è pari al 10,7 per cento. Infine, i consumi si sono contratti di 10 punti percentuali nell’ultimo ventennio. «La capacità di spesa ha tenuto finché non è stata infranta dalla soglia psicologica del tasso di risparmio all’8 per cento, poi ha iniziato la discesa», spiega Campiglio. Mentre un aumento dell’Iva «sarebbe dannoso su due fronti: avrebbe un impatto sui prezzi e quindi sulla competitività del Paese e deprimerebbe ancor di più la domanda interna».
Lo studio di Campiglio, infine, riassunto nei suoi contenuti in un articolo del Sole 24 Ore, dimostra che un aumento dell’Iva graverebbe sul 50 per cento delle famiglie più povere, mentre un aumento dell’Irpef sul 50 per cento dei nuclei con più alto reddito.

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