Le surrogate rischiano la pelle per «non interrompere le consegne» dei neonati in guerra

Cadono bombe vicino ai bunker in cui vengono stipati i figli dell'utero in affitto. Le tate: «Vogliamo andarcene ma a chi li lasciamo?». Solo i più “fortunati” riescono a evacuare i bambini commissionati in Ucraina

La Cnn riprende i bambini lasciati dalle surrogate in un bunker di Kiev

Victoria non lo farà mai più. Lunedì mattina aveva avvolto al caldo il piccolino di sette giorni partorito tra le sirene che suonavano fuori dall’ospedale ed era stata caricata su un furgone: l’autista aveva quindi iniziato a guidare all’impazzata per schivare spari e superare posti di blocco, direzione un bunker della Biotexcom, una manciata di chilometri fuori Irpin. È lì che il colosso della maternità surrogata con sede a Kiev trasferisce i bambini nati su commissione ed è lì che Victoria doveva “consegnare” il suo bambino. Era arrivata appena in tempo, la contraerea ucraina sparava in lontananza: il tempo di farsi inghiottire sottoterra col suo fagotto e il seminterrato era stato scosso da tre fortissime esplosioni, l’ultima aveva abbattuto un missile da crociera russo.

Là sotto Victoria aveva iniziato a piangere all’idea di lasciare il bambino solo, «quando riusciranno a portarlo via i suoi genitori?», si era chiesta in lacrime davanti al giornalista della Cnn, «dicono che stanno per arrivare, ma quando e quanto tempo ci vorrà nessuno può dirlo». Pensava sarebbe stato facile fare la surrogata, portare in grembo l’embrione di una coppia straniera: aveva affrontato tutto per sua figlia, partorita a soli 17 anni. Ma ora, lontana da lei (era riuscita a farla scappare in Bulgaria all’inizio dell’invasione), dopo aver passato gran parte della gravidanza a letto a causa di complicazioni, ora che era giunto il momento di dover abbandonare questo piccolo bambino e affrontare «il trauma di rinunciare a lui», Victoria aveva deciso che non avrebbe mai più fatto una cosa del genere.

«Non possiamo abbandonare questi bambini»

Le telecamere della Cnn mostrano cullettine di plastica e copertine che avvolgono 21 neonati, un pediatra che ricorda quanto sono pagate le surrogate come Victoria (tra le 17.500 e 25 mila sterline) e sei tate che cercano di placare il loro pianto, allattarli, addormentarli cullandoli, «le bombe cadono sempre più vicino. I bambini sentono la paura e l’angoscia nella stanza», spiega Antonina. «Vorrei andarmene, perché anche io ho una famiglia. Ma non abbiamo nessuno a cui lasciare questi bambini». Sua madre, suo marito, le sue figlie, sono scappate in un posto più tranquillo a centinaia di chilometri di distanza, «sono preoccupata per loro ma mia madre e mio marito si prenderanno cura delle mie bambine. Questi piccoli invece non possono essere abbandonati. Sono indifesi. Hanno bisogno di cure. Speriamo che i genitori possano venire a prenderli presto».

Ma quando e come? Da quasi tre settimane nel bunker si vive in attesa, “immagazzinando” i figli partoriti dalle surrogate altrove e che devono affrontare un viaggio pericolosissimo per “depositarli” lì sotto. In attesa che chi li ha ordinati venga a ritirarli. Una coppia, racconta il pediatra, ha sfidato la guerra, «aspettavano da 20 anni questo bambino e sarebbero venuti in qualsiasi circostanza. Ma ci sono coppie che hanno paura, c’è una guerra in corso, una guerra seria».

Attesi cento figli di surrogate sotto le bombe

Secondo il New York Times quasi ogni giorno una surrogata ucraina mette al mondo un bambino in conto terzi. Quelle sotto contratto per la Biotexcom (una galassia di circa 600 surrogate) ne metteranno al mondo un centinaio entro la fine del mese. «Abbiamo molti bambini nati in questo periodo», ha spiegato Denis Herman, legale della Biotexcom. «Non possiamo arrestare questo processo. Dobbiamo trovare dei modi per affrontarlo». Tradotto: trattenere i bambini nei rifugi antiaerei piuttosto che rischiare di trasferirli.

Sam Everingham, il fondatore di Growing Families, parla di circa 90 coppie in preda al panico con neonati o bambini che stanno per nascere in Ucraina (solo del suo “circuito”: parlando al Wall Street Journal ha stimato che 800 coppie in tutto il mondo stiano aspettando un figlio da una madre surrogata in Ucraina), «le agenzie di maternità surrogata, molte delle quali con sede a Kiev, una volta corteggiavano i genitori con immagini di bambini dalle guance paffute ed ecografie. Ora, le pagine dei social media delle agenzie sono piene di tristi aggiornamenti sulle vite sconvolte dei membri del personale e sui loro tentativi di mantenere surrogati e neonati al sicuro in rifugi desolati», scrive il Nyt, che ha raccolto testimonianze di coppie straniere a caccia di un modo per recuperare i bambini commissionati.

L’evacuazione dei gemelli prematuri in Polonia

Ci sono Max e sua moglie, tedeschi, che hanno guidato dalla Germania all’Ucraina il giorno dell’invasione per recuperare le loro gemelle e ora sono bloccati lì, all’insaputa di molti parenti a cui non avevano confessato di aver fatto ricorso alla maternità surrogata. C’è un padre canadese che con la moglie si trova in Turchia, ogni giorno escogita un piano per venire a ritirare il figlio a Kiev, «non so cosa fare e dove andare, ho paura che non riusciremo mai a recuperarlo e lo perderemo per sempre». Sasha e Irma hanno visto per la prima volta i loro figli Lenny e Moishe una settimana fa, in Polonia. Erano nati prematuri a Kiev il 25 febbraio, dopo terribili settimane di complicazioni, ed erano stati portati subito in terapia intensiva: per i medici trasferirli in una zona più sicura era impossibile.

Tuttavia, seguiti dal Washington Post e numerosi altri media, i genitori avevano diffuso le immagini mandate dalla loro surrogata e descritto come «scena da film dell’orrore» quella del seminterrato in cui nascevano i bambini dell’ospedale di Kiev, con una «terapia intensiva improvvisata»: subito era scattata una raccolta fondi partecipatissima che aveva permesso ai due di pagare una «evacuazione di emergenza» dei loro gemelli con l’aiuto di un equipaggio di ambulanze ucraine volontarie e Project Dynamo, un’organizzazione no-profit con sede in Florida, che conduce missioni di salvataggio fuori dall’Ucraina.

Katya torna a prendere il suo bambino

Insieme ai bambini e a un’altra coppia con un neonato, era stata trasportata in Polonia anche la loro surrogata, Katya. Una volta consegnati i gemelli, la donna aveva fatto ritorno in Ucraina, dove l’aspettava a Leopoli il suo bambino di soli sei anni: tornava per riprenderselo e per provare a lasciare il paese anche con lui. Non tutte accettano come Katya di fuggire con i bambini commissionati in grembo e lasciare in patria i propri, «le surrogate non sono ostaggi o schiave», è la paradossale dichiarazione di Julia Osiyevska, direttrice dell’agenzia di maternità surrogata New Hope che si è occupata di trasferirne cinque con un autobus a terminare le gravidanze in Moldavia, un viaggio durato 19 ore.

«Molte di loro hanno troppa paura di trasferirsi in un posto diverso. Vivere in un posto come la Moldavia è anche più costoso e molte non hanno mezzi per mantenersi senza il marito». La sua agenzia è piccolissima ma è in arrivo almeno un bambino al mese, «non siamo una fabbrica di bambini. Tempo fa lavoravo per il governo ucraino e all’inizio non mi piaceva l’idea della maternità surrogata. Pensavo erroneamente che fosse come vendere bambini e trafficare esseri umani». Oggi sostiene invece che le surrogate siamo semplici «portatrici», «sono pagate ma non stanno vendendo un bambino. Non si legano a lui perché sanno fin dall’inizio che non è loro. Vengono pagate per il servizio e in cambio possono spendere questi soldi per la propria famiglia».

«Non puoi interrompere le consegne»

Proprio così: per chi gestisce un business sulla pelle delle donne ucraine (del cinismo dell’industria occidentale dell’utero in affitto avevamo già parlato qui) si tratta solo di soldi e prestazioni, e non di madri e figli: «Non puoi interrompere le consegne. Non puoi ritardare o annullare un parto», ha rincarato Osiyevska al Wsj. Ditelo alle surrogate che hanno perso i contatti con le loro agenzie e stanno cercando disperate i genitori intenzionali dei bambini che hanno in grembo sui social media, o alle surrogate “sparite” nella guerra: «Potrebbero essere bloccate nelle città sotto i bombardamenti russi», ha affermato Sergii Antonov, un avvocato di Kiev specializzato in campo medico e riproduttivo che si sta occupando di rintracciarle. «Non sappiamo dove siano queste sfortunate donne. Ovunque è il caos».

Ditelo a Victoria, che dopo aver rischiato la pelle per consegnarlo non smette di piangere all’idea di lasciare Lawrence in un seminterrato, ditelo a sei tate impossibilitate a lasciare un rifugio antiaereo per tornare dai propri bambini, ai 21 neonati abbandonati sotto le bombe da chi li ha messi al mondo e in attesa che chi “ha pagato per il servizio” possa evacuarli e garantire loro una sorta diversa da quella di tutti gli altri bambini nati in Ucraina da mamma e papà senza un soldo per scappare e senza contratto. Ditelo alla coppia di cinesi fermati al confine con la Romania: entrati senza bambini, sono usciti con due neonati in braccio e senza certificato di nascita. Sono accusati di rapimento.

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