Strage in Connecticut. Non è (solo) un problema di armi

Quello che è successo in Connecticut, ci lascia senza fiato. E non potrebbe essere diverso. Quello che è successo in Connecticut rimette in circolo tutte le grandi perplessità sulla nostra società, sul nostro modo di stare insieme, sul nostro mondo. È successo in America, ma per qualche giorno è come se fosse successo qui. Poi, invece, di fronte a quel dramma senza un senso che possiamo afferrare, che possiamo toccare, che possiamo imbavagliare per darci una spiegazione, quel dramma diventa la solita lotta politica. Quel dramma viene ridotto alla solita lotta intellettuale, alla solita lotta da avvocati, alla solita lotta di chi, da dentro una campana di vetro, osserva il mondo e lo giudica.

Quello che è successo in Connecticut ha rimesso in pista una battaglia importante: la battaglia per dire basta alle armi. Una battaglia giusta, che è anche una battaglia di civiltà, una battaglia culturale che va fatta e che non può attendere. Ma quella battaglia non è quel senso, quella sottile linea di gentilezza che chiediamo di fronte a quel dramma. La battaglia è una conseguenza, di questo caso. Senza le armi, avremmo evitato quella tragedia. Avremmo evitato quel dramma. E quindi quella battaglia va fatta.

Ma di fronte a quel dramma, non possiamo rispondere solo dicendo no alle armi. Se ci fermiamo a questo, lo facciamo solo per spezzare quel grido di senso, quella matta voglia di significato che uno ha di fronte alle cose che non capisce. Se ci fermiamo, dicendo soltanto il nostro no alle armi, beh, abbiamo fallito. Come hanno fallito tutti quelli che per spiegare, per darsi una ragione, hanno scritto che la strage è colpa dell’autismo. Come tutte le altre volte che siamo di fronte a fatti simili, vogliamo spiegare tutto con i disturbi della personalità, con i sintomi della pazzia. Non si può spiegare tutto con i limiti.

Per essere uomini, non dobbiamo soffocare quel grido di senso, quella voglia matta di significato che di fronte a quei drammi ci sorge come spontanea. E che non possiamo controllare. Di fronte a quel dramma è lecito chiedersi se quel senso di vuoto che sentiamo, quel sento senso di vuoto che vorremmo colmare non è anche lo stesso che sentiamo di fronte alla morte di un nostro caro, alla ferita della nostra impotenza, al morire della nostra giovinezza. Di fronte a quel dramma, si apre un interrogativo enorme, che chiede di avere risposta. Non facciamolo morire, per non morire anche noi con un’arma che non spara, ma fa male. Il nichilismo.

@pepimonteduro

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