Storia di Mary Wagner, l’attivista pro life arrestata di nuovo

Parla e regala rose alle donne che vogliono abortire, tace ai processi. La vicenda della donna disposta a finire in prigione pur di opporsi all'aborto

È tornata in carcere Mary Wagner, la canadese arrestata ripetutamente dal 2000 fino ad oggi, e detenuta per un numero di mesi che, sommati, superano i quattro anni di detenzione. Il 12 dicembre scorso è entrata ancora una volta all’interno di una clinica abortiva, nonostante le leggi canadesi vietino di pregare o parlare con chi transita nei pressi dei centri abortivi.

LA SUA VICENDA. Wagner è un’attivista pro life quarantaduenne convertita dopo aver sentito l’invito di Giovanni Paolo II, durante la Gmg di Denver, a battersi contro l’aborto e l’eutanasia uscendo «per le strade e nei luoghi pubblici come i primi apostoli». Dal 2000, la sua attività è stata instancabile e Wagner ha sempre giustificato il suo operato spiegando che «se ragioniamo a partire dall’arresto o meno perdiamo di vista Cristo, nascosto nelle dolorose sembianze dei poveri, così poveri che non possiamo nemmeno vederli o sentirli».
Anche dopo la sua ultima scarcerazione in luglio dopo sette mesi di prigione, aveva promesso che non si sarebbe fermata. E così, il giorno in cui cadeva la festa della Vergine di Guadalupe, si è di nuovo recata davanti una clinica, ripetendo un gesto per lei ormai consueto: parlare e donare una rosa rossa alle donne che incontrava. Invitata ad allontanarsi, pena un nuovo arresto, Wagner è rientrata nell’edificio. All’udienza del processo, come aveva già fatto le volte precedenti, è rimasta sempre in silenzio, rifiutandosi di farsi difendere da un avvocato.

«ANCHE UNA SOLA VITA». Nell’agosto del 2013 parlò di lei in un’intervista Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente delle conferenze episcopali dell’Asia. «Mi si è chiarito che Mary ha una missione», aveva dichiarato Gracias dopo averla incontrata in cella. «Dio la chiama a fare questo, a testimoniare il dono e la santità della vita umana». Per l’arcivescovo, la scelta di Wagner non era «un futile esercizio per combattere i mulini a vento, anche se avesse salvato solo una vita ne sarebbe valsa la pena».
In carcere, Wagner ha convertito molte donne coinvolgendole nell’apostolato passivo fatto di preghiere e sacrifici per guarire le piaghe delle donne che hanno abortito e che spesso la contattano per essere aiutate. Altre, invece, le scrivono di aver deciso di non abortire grazie alla sua testimonianza. Paul Hrynczyszyn, cappellano del penitenziario, ha detto di lei: «Penso che sia una santa» ed «è una benedizione per me quando la incontro». Il cappellano ha sottolineato che la sua «profonda umiltà», che coincide con la sua totale dipendenza da Dio, «aiuta molte donne a tornare alla fede», come una carcerata che confessò in lacrime che «la sua presenza mi ha fatto sentire perdonata».

@frigeriobenedet

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