«Dai almeno il tempo alla famiglia di salutarlo». Storia di un tragico suicidio assistito, senza dignità né umanità

La vicenda idilliaca di Brittany Maynard non rispecchia la realtà del suicidio assistito in Oregon. Il caso di Christopher e della morte poco compassionevole di suo padre

«Se decidessi di approfittare della legge sull’eutanasia in Oregon, mi fermeresti?». Quando Christopher Redmond (foto a fianco) si è sentito porre da suo padre questa domanda, nel 2011, è rimasto scioccato. Brittany Maynard si è uccisa assumendo un farmaco letale l’1 novembre, dopo essersi trasferita dalla California in Oregon. Il suo caso ha risvegliato in Christopher il dolore per la scelta del padre, affetto da un grave cancro ai polmoni, ma la sua esperienza del suicidio assistito non è affatto idilliaca come quella propugnata nel caso di Brittany dall’associazione Compassion & Choices, che sponsorizza l’eutanasia.

L’ANNUNCIO. Christopher è stato cresciuto nella fede cattolica dalla madre. Allontanatosi dalla Chiesa, è tornato a credere dopo aver incontrato sua moglie Nadia, da cui ha avuto cinque figli. Convinto pro-life, quando suo padre, agnostico, gli ha annunciato il desiderio di suicidarsi, gli è crollato il mondo addosso: «Gli ho risposto: “Cercherò in tutti i modi di farti cambiare idea ma non posso certo fermarti”».

IL DOLORE NON C’ENTRA. In Oregon la “Morte con dignità” è legale dal 1997 ed è stata utilizzata da circa mille persone. Come dichiarato al National Catholic Register da padre John Tuohey, direttore del Providence Center for Healthcare Ethics, «raramente le richieste per il suicidio assistito sono legate al dolore. Ora le terapie palliative sono molto migliorate. Il motivo principale, invece, è quello di non pesare sui propri cari e poter controllare la propria morte».

«MORTE DELLA LIBERTÀ». Ma questa, come scritto in occasione della morte di Brittany dall’arcivescovo di Portland, Alexander Sample, è un’illusione: «Con il suicidio assistito ci illudiamo di poter controllare la morte. Si dice che siamo liberi se possiamo scegliere quando morire ma qui c’è un’enorme contraddizione. Uccidendosi una persona smette di godere della libertà terrena. La vera autonomia e la vera libertà consistono solo nell’accettare la morte come qualcosa che non possiamo controllare. La nostra vita e la nostra morte appartengono a Dio, che ci ha creato e ci mantiene in vita. Attraverso la sofferenza, la morte e la resurrezione del suo Figlio, Gesù, noi sappiamo che la morte non è l’ultima parola».

NESSUN CAMBIAMENTO. Il padre di Christopher, come Brittany, si è trasferito dalla California in Oregon, sostenuto nella scelta di suicidarsi dal fratello. «Io ho deciso di stargli vicino, per essere presente e pregare», continua Christopher, che è andato a visitarlo ogni giorno con i figli. «Non voleva parlare di religione e l’ho rispettato. Ho approcciato la cosa da un punto di vista logico. Gli ho detto che nessuno ha la sfera di cristallo e che sarebbe potuto morire di cancro il giorno dopo o dopo dieci anni. Gli ho anche ricordato che lasciava soli i suoi figli e i suoi nipoti». Niente di tutto ciò è servito per fargli cambiare idea.

«COME UN AFFARE». La clinica dove era ricoverato si è però rifiutata di partecipare al suicidio assistito e così il padre si è trasferito a casa del fratello. Qui Christopher è rimasto «sconvolto da come si comportavano i due fratelli. Era come se stessero lavorando a un affare da portare a termine. Non avevano alcuna considerazione dell’aspetto umano». Quando il giorno fatidico è arrivato, mentre un medico dell’associazione Compassion & Choices preparava la dose letale, Christopher è andato da suo padre per dirgli: «Non posso accettare questo atto e non voglio essere presente».

L’INTRUSIONE DEL MEDICO. Si è avvicinato per salutarlo un’ultima volta ma è stato interrotto dal medico della lobby pro-eutanasia che voleva sbrigare tutto in fretta. La scena era così surreale, che l’infermiera disse al medico: «Dai almeno il tempo alla famiglia di salutarlo». Il padre è morto 27 ore dopo aver assunto il farmaco letale, un tempo molto lungo rispetto al normale, mentre Christopher era andato in chiesa a pregare: «Sono stato tre ore davanti al Santissimo Sacramento e ho pregato il rosario. Sono convinto che mio padre abbia vissuto così tanto (dopo aver preso il farmaco, ndr) perché quelle ore servivano a Dio per parlargli. Io faccio fatica ad accettare il suo gesto ancora oggi. Ai miei figli ho spiegato che la vita è sempre degna di essere vissuta e che loro non sono solo rotelle di un ingranaggio. Hanno capito».

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