Sta scoppiando la bolla del calcio cinese

Gli investimenti per trasformare la Chinese Super League nella Premier asiatica sono stati inutili. Fuga dei campioni e Nazionale in affanno. Pechino non riesce a replicare nel pallone i successi olimpici

Giocatori del Wuhan Zall si allenano in Spagna, nel gennaio 2020 (foto Ansa)

È una storia triste quella del calcio in Cina, ma che insegna molto sulle dinamiche di Pechino. Per raccontarla si potrebbe partire dagli investimenti faraonici fatti pochi anni fa, quando approdavano in Chinese Super League talenti come i brasiliani Oscar, Hulk, Paulinho, nomi di peso – con stipendi fuori scala – che svelavano l’intenzione di trasformare il campionato in una Premier League asiatica. Cosa è rimasto di tutto ciò? Nulla, parrebbe, se è vero che da ormai mesi di quella super lega non si disputa nemmeno una partita.

Fuga da Pechino

Forse si ripartirà a dicembre, ma prima di allora niente partite: ci si è fermati per far giocare alla Nazionale alcune gare decisive per la qualificazione a Qatar 2022. Ma non solo per quello, ovviamente: c’entra la crisi attraversata da grandi marchi di investitori che sul pallone qui hanno scommesso. Dell’empasse del gruppo Suning si è parlato molto anche in Italia viste le ripercussioni sulle ambizioni dell’Inter (anch’essa controllata dalla medesima società), meno si è scritto del colosso immobiliare Evergrande, vicino al fallimento e proprietario del Guangzhou Evergrande, club che ha vinto 8 titoli negli ultimi 10 anni.

Oggi di quei grandi calciatori solo Oscar risulta ancora in Cina, in attesa della ripartenza del campionato: Paulinho è senza squadra, Hulk è tornato in Brasile all’Atletico Mineiro, e si potrebbe continuare l’elenco con nomi italiani come quelli di El Shaarawy, rientrato alla Roma, o di Pellé, svincolato dopo aver chiuso la scorsa stagione al Parma. Tra gli ultimi a salutare c’è stato Fabio Cannavaro, allenatore strapagato del Guangzhou Evergrande da 12 milioni, che a settembre ha rescisso il suo contratto che scadeva nel 2023. Insomma, il sogno di un grande calcio cinese è svanito: se n’è accorto anche il New York Times, che parla di autentica «crisi esistenziale. Aziende che un tempo spendevano decine di milioni per acquistare calciatore ora non possono pagare i conti. E il presidente cinese, che un tempo sosteneva questo sport, ora affronta priorità ben più gravi».

La spinta di Xi Jinping

Pensare che la spinta alla crescita del calcio non era stata dettata solo dai colossi del real estate o da altri grandi investimenti, ma anzitutto da Xi Jingping. Dal 2013, anno della sua elezione a presidente della repubblica cinese, il pallone ha rotolato sempre più velocemente dietro a un sogno: quello di rendere grande il football a Pechino, così da ospitare un Mondiale e giocarci con una Nazionale competitiva – solo una volta si sono qualificati al torneo calcistico più bello al mondo, nel 2002: 0 gol fatti, 9 subiti. Il motivo giace attorno all’orgoglio con cui ogni sport viene guardato dal Partito comunista: rafforza l’identità nazionale e i patriottismo, oltre a stimolare la coesione sociale.

Non a caso nel 2015 è stato lanciato un grande piano di sviluppo calcistico ad ogni livello, che ha visto tra i principali interpreti proprio il gruppo Evergrande, entrato nel calcio già nel 2009 e protagonista dei maggiori successi, anche internazionali, del calcio cinese. «L’Effetto Evergrande ha aumentato l’interesse pubblico per la lega e ha gettato le basi affinché il governo centrale includesse lo sviluppo del calcio come progetto chiave delle ampie riforme economiche, sociali e politiche del presidente Xi Jinping verso il ringiovanimento nazionale», scrive Ye Xue su The Conversation.

La bolla è scoppiata

Il boom dei trasferimenti è stato quindi sotto l’occhio di tutti, appassionati e non, e il rischio che la bolla potesse scoppiare era noto da tempo: non a caso il governo cinese aveva tentato poi di porre un freno, con un salary cap alle squadre e una luxury tax. Ma il problema è pure di impostazione e priorità: la Chinese Super League ha vissuto anche e soprattutto per rendere grande la Nazionale cinese, non riuscendoci. «All’inizio di quest’anno – dice ancora Ye Xue – l’allenatore del Guangzhou Cannavaro ammise, in una conferenza stampa, che l’obiettivo del club era “allenare calciatori per offrire valore alla nazionale cinese”, piuttosto che per competere per il titolo».

«È decisamente inusuale per un club offrire tanto supporto a una Nazionale. Una dichiarazione così sarebbe impensabile da un allenatore di un club europeo […], ma a causa dell’ambiente politico cinese, non sorprende arrivi dal Guangzhou Evergrande. Guangzhou ha sempre privilegiato gli interessi della nazionale rispetto ai propri interessi aziendali. Nel 2013, il club ha introdotto nuove regole, che premiavano o multavano i giocatori in base alle loro prestazioni con la squadra nazionale. Il gruppo Evergrande ha anche sovvenzionato volontariamente parte dello stipendio di Lippi quando era capo allenatore della squadra nazionale cinese dal 2016 al 19». Il Guangzhou è stato anche tra i principali sponsor per la naturalizzazione di alcuni calciatori (per lo più brasiliani), arruolabili così per la Nazionale di casa.

Il calcio non è come le Olimpiadi

Nonostante tutto ciò, la Cina del calcio continua a soffrire: nel girone B della qualificazione ai Mondiali del 2022 sono penultimi, davanti solo al Vietnam, e giusto un miracolo potrebbe portarli alla prossima Coppa del Mondo. Nel ranking della Fifa sono 75esimi, dietro a “potenze” come (solo per citare i nomi appena prima) Nord Macedonia, Montenegro e Iraq. Risultati che non appartengono alla Nazionale femminile (che invece coi Mondiali ha un buon feeling) e soprattutto che stridono con l’incetta di medaglie che, ogni quattro anni, la Cina colleziona alle Olimpiadi in ogni disciplina.

Dal ’48 all’84 Pechino fu estranea ai giochi a 5 cerchi, poi è stato un crescendo di successi: c’entra il talento, sì, così come il gran bacino di atleti a disposizione e la costruzione dei fenomeni su cui sono stati investiti milioni. La logica è la medesima, rendere grande la Cina e accrescere nel popolo il senso di appartenenza. Ma c’è una disciplina che, evidentemente, a questo progetto sfugge, ed è proprio il calcio.

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