Spiare gli stipendi degli altri in uno stato di pulizia morale

A me Fabio Fazio non è mai piaciuto. Ma che qualcuno guadagni molto in relazione al proprio valore, è un attributo importante di una società libera

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nei regimi dell’invidia sociale pianificata in nome della lotta di classe si spiano le vite degli altri. Nelle democrazie deboli, che hanno tratti illiberali e un carattere rancoroso, gentista, pettegolo e maligno, si spiano gli stipendi degli altri. Sono sentimenti e comportamenti simmetrici, hanno del morboso, come dimostrò nel bellissimo racconto cinematografico di dieci anni fa Florian Henckel Donnersmarck. Con una differenza: lo spionaggio della Stasi nella Germania comunista era un efficace meccanismo segreto di controllo sociale mentre l’invadente chiacchiericcio sui compensi delle star televisive, che ha qualcosa in comune con il malaffare mediatico delle intercettazioni pubblicate a nastro, è fatto pubblico, non schermo di uno stato di polizia ma specchio di uno stato di pulizia morale che s’incarna nel risentimento e nella frustrazione, cattivi compagni del popolo quando si riduce allo stato di gente.

A me Fabio Fazio non è mai piaciuto. Gli riconosco una certa grazia (il suggerimento in questo senso me lo diede Angelo Guglielmi), che non compensa l’ipocrisia e il sentimentalismo, non gli perdono l’orrido uso moraleggiante di Massimo Gramellini, però è vero che tutto quanto tocca Fazio diventa oro. Ci sa fare. È competente. Un giro da Fazio è il sogno di tutti, e specialmente dei wannabe, quelli che ambiscono a vedere e far vedere il riflesso migliore della loro immagine fuggitiva, gli ascolti sono buoni e talvolta ottimi, la reputazione tra la gente che piace è immacolata, collaboratori e autori sono scelti con cura professionale, nessuno mai si sente offeso (forse il solo Renato Brunetta, che dell’offesa data e ricevuta è un celebre professionista), e il risultato è un prodotto televisivo che attira pubblicità. Fazio è un piccolo-grande eroe del mercato, il fatto che sia pagato tanto mi sembra perfettamente normale, a cavallo come sta tra la logica del servizio pubblico, saggiamente amministrata con le sue ospitate, e il flare di un’impresa commerciale alla moda, spesso scintillante.

Aspirare a diventare miliardari
Che qualcuno guadagni molto in relazione al proprio valore, magari con i posizionamenti e i compromessi politico-aziendali del caso, è un attributo importante di una società libera. Non è un vaso ricolmo di piaceri e di lussi che escludono la stragrande maggioranza della gente comune che guadagna poco o pochissimo, come può sembrare a una mentalità chiusa, rigida, meschina. È un parametro che vale per tutti. Il presidente francese Emmanuel Macron si lasciò sfuggire una frase di difficile digestione per una società ideologicamente connotata, dicendo che non è male se un giovane aspiri a diventare miliardario. Sembra cinismo, incitamento a una competizione darwiniana, selettiva, e invece è un modo per dire che una buona politica di amministrazione delle risorse pubbliche e private non deve solo livellare, quando sia giusto, e magari sorvegliare e punire socialmente, deve anche aprirsi al talento bene impiegato, alle ambizioni nella loro forma materiale, di scambio, che sono sempre state il sale, in giusta dose, nel minestrone della vita.

Un po’ d’ironia
Potrei dire con Billie Holiday: «I’ve been poor and I’ve been rich. Rich is better!», frase immortale di filosofia tascabile e di ironia allegra. Mi limito a osservare che il denaro ben guadagnato, e con fatica, in genere viene speso con sobrietà, tutela la tua autonomia con un grado importante di sicurezza. Quello che si vede dissipato e mal speso, ostentato e cialtronescamente impiegato nella futilità, è il denaro facile, che evade o elude i doveri fiscali. Di questo abbiamo il massimo esempio in Donald Trump, un riccastro che si gloria di battere in breccia il fisco nel corso di una campagna elettorale, e la vince pure.

Certo sarei più contento per lui se Fazio difendesse il suo posto nel mercato televisivo con argomenti meno segnati dall’attrizione (il generico sentimento di una colpa che fu fulminato cinquecento anni fa come cattiva penitenza da Martin Lutero), meno indulgenti, più spiritosi. Ma ciascuno è fatto a suo modo. Meglio Cristiano Ronaldo, sfacciato e ribaldo, che quando litiga in campo con giocatori che lo odiano gli getta in faccia il simulacro dorato dei suoi stratosferici ingaggi e guadagni. Però un paese civile lo stipendio di Fazio lo lascia in pace.

@ferrarailgrasso

Foto Ansa

Exit mobile version