Sulle spalle il peso dei giganti. La mostra del Meeting

Il destino di chi deve strappare al tempo la tradizione per esserle fedele. Ecco perché Casa Testori porterà (fisicamente) a Rimini Warhol, Antonioni, Wenders, Paci

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Pierre, pensi che gli italiani vedranno il rispetto che ho per Leonardo?»: per due anni e per uno strano destino Andy Warhol si era trovato a vivere il passaggio ultimo della sua esistenza lavorando sull’immagine di Cristo. Non sapeva che sarebbe morto di lì a un mese: osservava la folla accalcata intorno a quello che sarebbe stato il suo ultimo progetto, “The Last Supper”, commissionatogli dal celebre gallerista Alexandre Iolas, e si chiedeva se gli italiani l’avrebbero compresa. Fu il grande critico francese Pierre Restany, a raccogliere e carpire la portata della domanda dell’artista: era il 1987, al Palazzo delle Stelline di Milano, di fronte a Santa Maria delle Grazie e al Cenacolo vinciano, andava in scena l’ultima mostra del Pope of the Pop. «Consciamente o no, ha scritto Restany, “Warhol mi sembra aver agito come uno che ha cura di un capolavoro della cultura cristiana, preoccupato di continuare una tradizione di cui si sente parte”.

Ecco perché Casa Testori ha deciso di portarlo al Meeting». Luca Fiore, giornalista di Tracce e tra i curatori de Il passaggio di Enea racconta a Tempi il senso di una mostra che è già diventata la sorpresa di questa edizione: trent’anni dopo l’inaugurazione milanese, una grande opera del ciclo dedicato all’“Ultima Cena” di Leonardo Da Vinci e riguadagnata in chiave Pop farà infatti irruzione nella fiera di Rimini insieme a quelle di altri dieci artisti, che convocheranno il popolo del Meeting a un dialogo eccezionale e collaudato.

«La mostra nasce sulla scorta del successo di un’altra esposizione, Tenere vivo il fuoco, allestita da Casa Testori nel 2015 per spalancare una via d’accesso all’arte contemporanea che prendesse di petto la grande obiezione a un mondo “che si fa con tutto, è dappertutto, parla di tutto e rischia tutto”, ma ai più lontano e difficile da capire. Lo abbiamo fatto a partire da una celebre scena di Tre uomini e una gamba («Ma lo sai che questo qui è un Garpez, uno dei più grandi scultori viventi?», «Ma scultore che cosa? Ma guarda che il mio falegname con trentamila lire la fa meglio, vah, non ha neanche le unghie!»), invitando il Meeting a un percorso libero, senza ordine prestabilito o guide, solo i curatori presenti nella piazza su cui si affacciavano le opere per rispondere e confrontarsi a viso aperto con le domande dei visitatori. La mostra e la modalità piacque moltissimo. E l’obiezione di una ragazza gravemente handicappata che parlava con il comunicatore oculare – “ma mancano le opere vere” – diventò la sfida di questa nuova mostra».

Una sfida autentica così come autentiche sono le opere e il racconto figurativo del passaggio di Enea, titolo di una raccolta di versi di Giorgio Caproni e suggestione potente nell’alveo di un Meeting che ancora una volta prende il toro per le corna e affronta il bisogno di riappropriarsi di quello che ci è stato lasciato in eredità, tema centrale anche nell’arte contemporanea. «Simbolo unico di tutta l’umanità moderna, in questo tempo in cui l’uomo è veramente solo sopra la terra con sulle spalle il peso d’una tradizione ch’egli tenta di sostenere mentre questa non lo sostiene più», commentava il poeta guardando a Genova la grande statua di Enea che si carica il padre Anchise sulle spalle, «scappa da Troia, dalla sua civiltà in fiamme e inizia un’avventura che lo porterà a fondarne una nuova – chiosa Fiore –: è questo il destino di Enea, immagine potentissima e capovolta del “siamo nani sulle spalle dei giganti “ che insegnava Bernardo di Chiaravalle, e questo è il destino dell’artista, che per riguadagnare il passato deve caricarselo sulle spalle e osare un passo in più per non ripeterlo. Deve strutturalmente tradire la tradizione per esserle fedele. Tutta la scommessa dell’arte è chiedersi come».

La vecchia mano del regista
Come fece Andy Warhol, appunto. O Michelangelo Antonioni che nel 2004, a novantadue anni, “incontrò” in San Pietro in Vincoli a Roma l’enorme mole del Mosè di Michelangelo Buonarroti: «Proietteremo il corto Lo sguardo di Michelangelo, dove la vecchia mano del regista ormai colpito dall’ictus si allunga verso l’imponente Mosè accarezzando la pietra. Come si cercassero, mortale e divino, in silenzio, in attesa stupefatta». Lo stesso stupore che aveva colto un altro grande regista, qualche anno prima, nel più grande cimitero a cielo aperto della storia recente. Era una mattina del 2001, una mattina pazzesca di autunno quando Wim Wenders entrò con la macchina fotografica nel cratere ancora fumante di Ground Zero. «Entrò come finto assistente di Joel Meyerowitz, suo grande amico e il solo fotografo che il sindaco di New York avesse autorizzato ad addentrarsi in quel luogo di morte e macerie. All’improvviso, raccontò, vide una luce diversa splendere attraverso la polvere e il fumo, invadere di pace l’inferno. Una bellezza struggente li sopraffece, poteva la speranza mostrarsi così scandalosamente in quell’orrore?».

Una Via Crucis pasoliniana
Anche quel raggio di luce sarà al Meeting, accanto alle stazioni in bianco e nero della Via Crucis pasoliniana di Adrian Paci, realizzata dall’artista albanese (arrivato a Milano dal regime ateo con una borsa di studio in arte sacra) per la chiesa di San Bartolomeo di via Moscova. Paci sarà all’incontro di presentazione della mostra domenica 20 agosto, insieme a Cristiana Collu, da un anno direttrice della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la coraggiosa storica dell’arte che ha ribaltato il grande museo italiano con un allestimento eversivo, Time is out of joint: «È un progetto temporaneo, durerà fino ad aprile 2018, nel quale Collu ha riorganizzato l’esposizione della collezione Gnam azzerando i criteri professorali e didattici per accostare con sapiente disinvoltura e somma poetica opere antiche e contemporanee: c’è la statua dell’Ercole che scaglia Lica di Antonio Canova che si specchia nei 32 mq di mare circa di Pino Pascali, sullo sfondo il pannello Spoglia d’oro su spine d’acacia di Giuseppe Penone; Collu insomma ha rimescolato le carte e centrato il tema dell’artista capace di riguadagnare e consegnarci l’eredità del passato protendendola verso un nuovo inizio. Segnato non solo attraverso i contenuti espressi, dalla scelta dei linguaggi e da una libertà di “generi” che non ha avuto eguali prima d’ora. Ma soprattutto da un’urgenza, una domanda.

La stessa che sorprese un ragazzo albanese sotto la croce, il re della Pop Art davanti al Cenacolo, un premio Oscar davanti al Mosè di marmo, o il cantore del Cielo sopra Berlino nella luce di Ground Zero.

Wim Wenders, New York, November 8, 2001 ©Sergio Tenderini Fotografia. Andy Warhol, The Last Supper, Collezione Credito Valtellinese, Sondrio. Sono solo alcune opere della mostra del Meeting Il passaggio di Enea, a cura di Casa Testori (Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi, Francesca Radaelli)

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