«Sono cristiano e ho vissuto un anno sotto l’Isis» pagando la jizya, subendo abusi e rischiando di essere sgozzato

Sarkis Kirbukiyle, 57 anni, ha preferito restare in casa sua «come in una tomba». Costretto a pagare il tributo umiliante, ha visto esecuzioni e ricevuto insulti per stralda

Costretto a pagare la jizya, il tributo umiliante, a chiudersi in casa «come in una tomba» e ad essere minacciato quando usciva per strada. È questa la vita che ha fatto per quasi un anno Sarkis Kirbukiyle, 57 anni, cristiano di Tal Abyad, che ha deciso di continuare a vivere in casa sua anche quando il suo villaggio nel nord della Siria è stato conquistato dall’Isis.

L’INVASIONE. Quando nel giugno del 2014 Tal Abyad è stato invaso, anche Kirbukiyle è scappato come tutti gli altri cristiani. Ma quando un amico musulmano, unitosi allo Stato islamico, l’ha avvisato che se non fosse ritornato i suoi beni sarebbero stati confiscati, ha preso una decisione insolita ed è tornato a casa sua. «Il mio amico ha promesso di proteggermi se avessi seguito le loro regole. Io mi dicevo: “Non puoi fidarti di loro, possono decapitare una persona facilmente” ma sono andato», ha dichiarato il cristiano a Buzzfeed.

LA JIZYA. Così ha fatto ritorno a Tal Abyad poco dopo l’invasione dell’Isis. Per prima cosa, è stato portato in una corte religiosa, dove ha firmato un contratto accettando di pagare la jizya, il tributo che secondo i testi sacri islamici un cristiano deve pagare per poter mantenere la sua fede in terra musulmana: 107 mila pound siriani all’anno, circa 520 euro.

LA CHIESA-PRIGIONE. Da quel momento si è chiuso in casa, guardando dalla finestra quello che succedeva nella chiesa armena di fianco alla sua abitazione, che era stata trasformata dai jihadisti in un carcere e in un centro addestramento. Kirbukiyle racconta che nel cortile della chiesa venivano affogati i prigionieri in un grande barile riempito d’acqua. «Forse molti venivano anche decapitati. Io non ho dormito per un anno», racconta.

«CRISTIANI SONO ANIMALI». Dopo alcuni mesi, ha deciso di uscire di casa perché «altrimenti sarei morto». Percorreva solo il tragitto che separava casa sua dall’alimentari del villaggio e se incontrava sulla sua strada un miliziano dell’Isis, cambiava percorso. Molti musulmani lo insultavano, altri gli dicevano che i «cristiani sono animali». Un giorno la polizia, scambiandolo per un musulmano, l’ha portato in moschea, dove per evitare guai Kirbukiyle ha imitato i gesti degli altri. Passando per la piazza del villaggio, ha fatto in tempo a vedere numerose teste esposte come monito. Un altro giorno, un ragazzino di 12 anni gli ha puntato un coltello alla gola per sgozzarlo, poi ha cambiato idea.

«COME IN UN TOMBA». «Quella non era vita», continua. «Ero in casa mia, ma era come se fossi in una tomba. Lasciavo la mia tomba di mattina per andare a comprare da mangiare e poi vi facevo ritorno». Nel villaggio tutti sono cambiati dopo l’arrivo dell’Isis: «Prima i musulmani erano miei amici e vicini. Nessuno mi ha mai insultato dicendomi che sono un infedele. Mi hanno sempre rispettato, come io rispettavo loro. Ora l’Isis sta distruggendo il nostro paese. Io però ho conosciuto un altro islam».

«BERE PER DORMIRE». Nel giugno del 2015 i curdi hanno liberato Tal Abyad e un video della Cnn ha raccontato l’orrore della dominazione dei terroristi. Ma Kirbukiyle ha ancora gli incubi e per sopravvivere si ubriaca: «L’alcol mi ha tenuto in vita. Non riuscivo a dormire e così bevevo mezza bottiglia ogni notte. Anche oggi continuo a bere per dormire ma penso sempre al passato e spesso non ci riesco».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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